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dimanche, 08 décembre 2013

IL “NIET” DELL’UCRAINA ALL’UE: MITI E REALTÀ

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IL “NIET” DELL’UCRAINA ALL’UE: MITI E REALTÀ

Giuseppe Cappelluti

Ex: http://www.eurasia-rivista.org

Il 21 novembre 2013 il Primo Ministro ucraino Nikolaj (in ucraino Mykola) Azarov ha annunciato che il suo Paese non intende più firmare l’Accordo di Associazione con l’Unione Europea e che intende invece rilanciare le proprie relazioni commerciali con la Russia, l’Unione Doganale Eurasiatica e i Paesi della CSI[i] [1]. Nello stesso giorno, in una seduta parlamentare condita da forti polemiche e scambi di accuse, il voto contrario dei comunisti e del Partito delle Regioni attualmente al governo ha impedito il trasferimento a Berlino per cure mediche dell’ex Primo Ministro Julia Tymošenko, che l’Unione Europea aveva posto come una delle maggiori precondizioni per la stipula dell’accordo che avrebbe portato alla liberalizzazione degli scambi commerciali tra UE e Ucraina, salvo che per i prodotti agricoli[ii] [2].

Si tratta, probabilmente, dell’atto finale di una commedia che perdura ormai da diversi anni, e la cui conclusione ha lasciato sorpresi in molti. Dopo la guerra commerciale tra Ucraina e Russia dello scorso agosto e l’approvazione da parte del governo di alcuni dei provvedimenti in termini di giustizia, sistema elettorale e riforme economiche richiesti dall’Unione, la prospettiva che il Vertice di Vilnius previsto per il prossimo 29 novembre si sarebbe concluso con la sottoscrizione dell’Accordo di Associazione tra Unione Europea e Ucraina non era più così lontana. A metà ottobre, poi, il futuro europeo dell’Ucraina pareva ormai vicino quando il Presidente Viktor Janukovič annunciò la possibilità di concedere alla Tymošenko la possibilità di recarsi all’estero per cure mediche[iii] [3]. Ma così non è stato, e anzi gli ultimi giorni prima della decisione finale hanno visto un raffreddamento dei rapporti euro-ucraini e una parallela intensificazione dei contatti tra Janukovič e Putin. Un epilogo quasi preannunciato, malgrado tutto, e che non ha mancato di suscitare polemiche.

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Dall’Occidente, come si può facilmente immaginare, sono arrivate forti critiche nei confronti di Janukovič e della Russia. L’Alto Commissario per la Politica Estera Catherine Ashton ha dichiarato che “la decisione è un fallimento non solo per l’UE, ma anche per il popolo ucraino” e il Ministro degli Esteri svedese Carl Bildt, uno dei protagonisti delle trattative tra l’UE e l’Ucraina per l’Accordo di Associazione, ha accusato la Bankova di essersi chinata alle “brutali pressioni” del Cremlino. Più contenuta la reazione del Ministro degli Esteri tedesco Guido Westerwelle, il quale ha affermato che “l’Ucraina ha il diritto di scegliere quale percorso seguire”[iv] [4]. Anche la stampa occidentale è schierata in gran parte contro Janukovič e Putin. Deutsche Welle, ad esempio, titola “Le minacce russe bloccano l’accordo commerciale euro-ucraino”[v] [5], e il titolo del New York Times è sulla stessa lunghezza d’onda[vi] [6]. Non pochi, poi, hanno accusato Janukovič di aver sacrificato la prospettiva europea sull’altare dei propri interessi personali mantenendo in carcere una sua pericolosa rivale. Putin, dal canto suo, ha rispedito al mittente le accuse di minacce denunciando un “ricatto” dell’Europa nei confronti dell’Ucraina[vii] [7].

Si tratta, però, di posizioni che non focalizzano il problema, oltre a denotare una palese faziosità antirussa. La Tymošenko, infatti, è solamente la punta dell’iceberg, e se Azarov alla fine ha scelto di gettare la spugna i motivi sono soprattutto di natura economica. L’Ucraina, pur avendo un notevole potenziale agricolo e industriale, è stata notevolmente colpita dalla fine del sistema sovietico e dalla rottura dei legami tra le Repubbliche dell’URSS, ma il Paese, a differenza delle Repubbliche Baltiche, è stato incapace di sostituirli con qualcosa di nuovo. Allo stesso tempo, però, non ha potuto né voluto mantenere forti legami economici con la Russia e i Paesi della CSI come ha fatto la vicina Bielorussia. Questo limbo è dovuto in gran parte alle forti divisioni tra la popolazione ucraina: l’Ovest è culturalmente legato all’Europa, le regioni orientali e meridionali guardano verso la Russia e sono di religione ortodossa, mentre una porzione non marginale degli abitanti del Paese, pur ricordando i Russi sotto molti aspetti e parlando russo più che ucraino, guarda con favore alla prospettiva di entrare nell’Unione Europea e agli apparenti benefici che comporta quest’adesione, mentre vede la Russia in una luce tutt’altro che positiva. Tutto ciò ha limitato in maniera non indifferente lo sviluppo del Paese, condannato a oscillare tra Occidente e Russia ma senza diventare parte integrante dell’uno o dell’altra.

Negli anni Duemila l’Ucraina ha goduto di un buon andamento economico, ma la crisi del 2008 ha colpito il Paese molto duramente. Gli anni successivi hanno visto una leggera ripresa, ma il Paese continua ad essere uno dei più poveri d’Europa. La Naftogaz, la società nazionale degli idrocarburi nonché la maggiore azienda del Paese, è fortemente indebitata con Gazprom, anche a causa di quei contratti sfavorevoli al Paese sottoscritti nel 2009 dalla Tymošenko quando era ancora Primo Ministro[viii] [8]. Nel 2011 la prospettiva di una fusione tra Naftogaz e Gazprom in cambio di sconti sul gas è stata rigettata dal governo ucraino[ix] [9], mentre il passaggio al colosso russo della gestione  della rete di gasdotti, ma non della proprietà, è al momento bloccato in quanto tale passo richiederebbe l’approvazione di una riforma costituzionale[x] [10]. Il problema, però, resta: Kiev paga a Mosca prezzi esosi per il suo gas (400 dollari ogni 1000 metri cubi), e a fine ottobre Gazprom ha richiesto alla controparte ucraina un pagamento di ben 882 milioni di dollari per le forniture di gas di agosto, portando così il debito della compagnia a 1,4 miliardi[xi] [11].

I contratti firmati nel 2009 hanno valenza decennale, e la Russia si è mostrata disposta a una loro revisione solo in cambio dell’adesione dell’Ucraina all’Unione Doganale. Lo sconto proposto da Mosca consentirebbe a Kiev di risparmiare circa 8 miliardi l’anno[xii] [12], ma malgrado tutto il Paese non sembra intenzionato a compiere un passo che implicherebbe dire addio alla prospettiva europea. Il Paese, anzi, ha avviato da circa due anni una strategia per la riduzione della dipendenza dal gas russo, basata soprattutto sulla diversificazione degli approvvigionamenti e sullo sfruttamento delle riserve di gas non convenzionale (il cosiddetto “gas da argille” o shale gas)[xiii] [13]. Si tratta, però, di una mossa tardiva, che probabilmente non darà i risultati sperati, e in ogni caso la strategia di diversificazione degli approvvigionamenti portata avanti da Kiev è di gran lunga in ritardo nei confronti di quella delle vie di trasporto che la Russia porta avanti da più di quindici anni e che, con la futura entrata in funzione del gasdotto South Stream, potrà dirsi a pieno regime. E’alquanto probabile, quindi, che la Russia uscirà vittoriosa da questa “guerra”.

L’intreccio tra gas e politica è un altro grande problema dell’Ucraina odierna. La possibilità di offrire gas a prezzi politici è infatti un importante cavallo di battaglia per i politici ucraini, specie a ridosso degli appuntamenti elettorali, ma i vari governi hanno sempre osteggiato la possibilità di accettare una soluzione affine a quella bielorussa, che recentemente ha venduto alla Gazprom la società che gestisce la rete di metanodotti del Paese. Il risultato è che l’Ucraina, pur acquistando il gas a prezzi piuttosto alti, lo vende ai suoi cittadini a prezzi convenzionati, con conseguenze che si possono facilmente immaginare. Nel 2011 l’Ucraina ha dovuto chiedere un prestito di 15 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale, ma l’organizzazione pose come precondizione l’abolizione dei sussidi sul gas, e il rifiuto di Kiev segnò il fallimento dell’accordo[xiv] [14]. Un’analoga richiesta di prestito presentata all’FMI due anni dopo si è anch’essa risolta con un fallimento, e questo solo il giorno prima del gran rifiuto di Azarov[xv] [15]. Il fallimento delle trattative tra l’Ucraina e l’FMI ha avuto senza dubbio un ruolo cruciale nell’allontanare Kiev da Bruxelles e nel riavvicinarla a Mosca. Un riorientamento che ha già iniziato a dare i propri frutti: il 24 novembre, infatti, il Cremlino ha annunciato la propria disponibilità a una revisione dei termini dei contratti sul gas con l’Ucraina[xvi] [16].

Accanto alle questioni del gas e dei debiti, va ricordata quella della bilancia commerciale del Paese. Per la Russia un eventuale ingresso dell’Ucraina nell’Unione Doganale rappresenterebbe senza dubbio un grande successo geopolitico e morale, ma dal punto di vista economico i benefici sono più limitati, sebbene consentirebbe al mercato eurasiatico una maggiore autosufficienza e lo renderebbe più attraente agli occhi di esportatori e investitori stranieri. Ben maggiori sono invece i vantaggi per l’Ucraina: secondo alcune stime, infatti, gli sconti sul gas, l’abolizione delle misure protettive e delle barriere tecniche e la rimozione delle tasse sulle esportazioni garantirebbe al Paese esteuropeo guadagni pari a 11-12 miliardi annui[xvii] [17]. Ben diverso, invece, è il discorso nei riguardi dell’Accordo di Associazione con l’UE. L’industria ucraina, malgrado il suo potenziale, non è competitiva con quella dei Paesi europei, e si prevede che un’eventuale stipula dell’accordo provocherebbe un peggioramento del 5% della bilancia commerciale del Paese[xviii] [18]. L’impatto sarebbe particolarmente pesante nelle regioni orientali, polmone industriale del Paese nonché roccaforte elettorale di Janukovič, e agli inizi di novembre Azarov ha dichiarato che il Paese necessiterebbe di 150-160 miliardi di euro per allineare agli standard europei l’industria ucraina[xix] [19]. Ma l’UE non risulta particolarmente propensa ad aiutare Kiev: alla richiesta di quest’ultima di un prestito di 8 miliardi di dollari, infatti, Bruxelles ha risposto offrendone uno di 1 miliardo di euro (ossia circa 1,3 miliardi di dollari), e peraltro ha posto come condizione l’approvazione di tagli potenzialmente destabilizzanti per il Paese[xx] [20].

Nell’UE l’Ucraina sarebbe una seconda Grecia, mentre il suo habitat naturale sembra essere un’Eurasia dove il suo potere sarebbe secondo solo a quello di Mosca. Un Ucraino occidentale o particolarmente “patriottico” può dire che “l’Ucraina non è la Russia”, e ciò è sostanzialmente vero se si parla, ad esempio, di Leopoli o della Transcarpazia; ma, allo stesso modo, non è la Lettonia, e non ha la stessa propensione ai sacrifici che ha dimostrato Riga nel cammino che l’ha portata all’adozione dell’euro. Nella prima metà di ottobre Azarov ha dichiarato che “nulla vieta all’Ucraina di sottoscrivere l’Accordo di Associazione con l’UE e, nel contempo, creare un’area di libero scambio con l’Unione Doganale”[xxi] [21], ma quest’idea, all’apparenza la migliore soluzione per il Paese, non è fattibile per il tipo di rapporti che si sono venuti a creare tra Russia e Ucraina. I due Paesi, infatti, hanno frontiere sostanzialmente aperte, e l’abolizione dei dazi tra UE ed Ucraina provocherebbe, almeno secondo il Cremlino, un’invasione di prodotti europei a prezzi non gravati dai dazi sui mercati dell’Unione Doganale, rendendo così necessaria l’introduzione di misure protettive nei confronti di Kiev[xxii] [22]. Le perdite dovute alle sanzioni, a detta di Janukovič, si aggirerebbero attorno ai 15 miliardi di dollari, e ciò, per il Paese, sarebbe un’autentica pugnalata[xxiii] [23]. Il fatto che l’accordo di libero scambio con l’UE escluda i prodotti agricoli, che per l’Ucraina sono una delle maggiori merci di esportazione, non è propriamente di secondaria importanza.

La svolta del 21 novembre, che alcuni in Ucraina hanno già ribattezzato “il giovedì nero”, è senza dubbio una sconfitta non solo per l’Unione Europea, ma per l’intero Occidente, che malgrado l’impegno degli Stati Uniti si rivela più debole della Russia nello spazio ex-sovietico. Per la Russia, invece, si sta per chiudere un autunno denso di successi: la mediazione di Putin per prevenire l’intervento americano in Siria, la svolta eurasista dell’Armenia, le elezioni in Georgia e il miglioramento della posizione della Russia in una serie di indicatori economici. Ma la virata di Kiev verso l’Eurasia è tutt’altro che priva di risvolti positivi per l’Europa. La Russia forte e imperialista tanto osteggiata da politici europei e attivisti dei diritti umani, infatti, per l’Europa è di gran lunga meno pericolosa di una Russia debole. La Russia moderna, infatti, non è l’Unione Sovietica, e a differenza di quest’ultima non ha e né può avere ambizioni universaliste. L’assenza del ruolo dell’ideologia comunista obbliga il Paese a promuovere i propri interessi nel mondo non in quanto portabandiera della rivoluzione mondiale, ma in quanto Russia, e ciò riduce di molto il suo raggio d’azione impedendole di intervenire qualora non siano in gioco i propri interessi diretti o quelli di una nutrita schiera di cittadini russi o di Russi etnici. Allo stesso modo l’Unione Doganale, ispirata ai principi del libero mercato, non propone un ritorno al passato. Ma molte delle sfide che oggi la Russia si trova ad affrontare sono comuni all’Occidente: il fondamentalismo islamico, il traffico internazionale di stupefacenti, la stabilità di regioni potenzialmente a rischio come l’Asia Centrale. Per l’Europa, quindi, è di fatto più utile un’Ucraina filorussa che non un’Ucraina nell’UE: la prima contribuirebbe in maniera sostanziale al miglioramento della sicurezza e della situazione economica dell’Eurasia, la seconda si trasformerebbe inevitabilmente in una nuova Grecia. Ma, per vedere l’Ucraina fare domanda di ammissione nell’Unione Doganale (o, in alternativa, intraprendere seriamente il cammino dell’eurointegrazione), dovremo probabilmente attendere il 2015. L’anno delle prossime elezioni presidenziali.


[viii] [38] I contratti del 2009 sono stati la causa della condanna della Tymošenko a 7 anni di carcere per abuso di potere.

[xii] [45] R. Dragneva e K. Wolczuk, Russia, the Eurasian Customs Union and the EU: Cooperation, Stagnation or Rivalry?, Chatham House, Londra, 2012, p. 11.

'Israël en Saudi Arabië ontwikkelen super-Stuxnet virus tegen Iran'

'Israël en Saudi Arabië ontwikkelen super-Stuxnet virus tegen Iran'

Iraanse official: Obama heeft ons tot nieuwe strategische partner gemaakt

Ex: http://xandernieuws.punt.nl


De Iraanse kerncentrale in Bushehr was 3 jaar geleden één van de doelen van het Amerikaans-Israëlische Stuxnet virus.

Volgens het Iraanse persbureau Fars werken de inlichtingendiensten van Israël en Saudi Arabië samen aan een nieuwe, nog schadelijkere variant van het Stuxnet computervirus, dat in 2010 grote delen van het Iraanse nucleaire programma wist te ontregelen. Een Iraanse official wist te melden dat president Obama deze keer niet meedoet met de cyberoorlog, omdat hij van koers is veranderd en besloten heeft om Iran tot zijn nieuwe strategische partner in het Midden Oosten te maken.

Algemeen wordt aangenomen dat het originele Stuxnet-virus ruim 3 jaar geleden werd ontwikkeld door Israël en de VS. Als recente berichten kloppen, zou dit virus nog altijd de ronde doen en zowel een Russische kerncentrale als het Internationale Ruimtestation hebben bereikt.

In drie jaar tijd zijn de machtsverhoudingen op de wereld flink verschoven. Wie had ooit kunnen denken dat de Verenigde Staten, dat net als Israël jarenlang dreigde met militair ingrijpen, een radicale ommezwaai zou maken, en dat de inlichtingendiensten van Israël en Saudi Arabië zouden gaan samenwerken.

Saudi"s zien deal met Iran als 'westers verraad'

Dat is althans wat Fars beweert. Prins Bandar bin Sultan, hoofd van de Saudische inlichtingendienst, en Tamir Pardo, leider van de Israëlische Mossad, zouden op 24 november -kort na het tekenen van de interim overeenkomst met Iran- samen met hun beste cyberoorlogspecialisten in Wenen bij elkaar zijn gekomen om een virus te ontwerpen, dat erger is dan Stuxnet en dat de software van het Iraanse nucleaire programma moet gaan vernietigen.

Het project werd in gang gezet nadat de 5+1 machten hun handtekening onder het voorlopige akkoord met Iran zetten, dat door de Israëliërs een 'historische fout' en door de Saudiërs zelfs 'Westers verraad' werd genoemd.

Publiek geheime ontmoetingen

Dezelfde Iraanse bron 'onthulde' dat prins Bandar en Tamir Pardo elkaar meerdere malen hebben ontmoet in de Jordaanse havenstad Aqaba. Toen dit een publiek geheim werd, zou de Saudische kroonprins Salman bin Abdulaziz prins Bandar hebben gewaarschuwd dat de nauwe samenwerking met de Mossad het koninklijke huis toch zorgen baarde.

De bron wist ook te melden dat prins Bandar in het geheim naar Israël reisde, precies op het moment dat de Franse president Francois Hollande op 17 en 18 november op bezoek was in de Joodse staat. Bandar zou samen met de Israëliërs en Fransen hebben overlegd over hoe het Iraanse nucleaire programma alsnog een halt toe kan worden geroepen.

Diplomatiek schaakspel

Om diplomatiek tegenwicht te bieden, stuurde Iran minister van Buitenlandse Zaken Javad Zarif naar enkele Arabische Golfstaten, maar niet naar Saudi Arabië. Door prins Bandars samenwerking met de Mossad te benadrukken, hoopt men in Teheran de interne machtsstrijd over de troonsopvolging in Riyad verder aan te wakkeren. De Iraanse mullahs maken zich namelijk grote zorgen over de samenwerking van het land met Israël.

De 'onthulling' van deze samenwerking moet tegelijkertijd de interne oppositie in Teheran overtuigen hun verzet tegen de deal met de 5+1 machten op te geven. Iran zou, bijvoorbeeld als het weigert de afspraken met het Westen na te komen, anders alsnog alleen tegenover Israël en Saudi Arabië kan komen te staan.

Israëlische defensiespecialisten merken op dat de onthullingen wel door de Russische media, maar niet door de Westerse werden overgenomen. Dit zou kunnen duiden op een nauwe samenwerking tussen de Iraanse en Russische inlichtingendiensten.

 

Xander

(1) DEBKA

Les "Bonnets Rouges" sur "prorussia.tv"

 

 

Les "Bonnets Rouges" sur "prorussia.tv"
 
Durée : 1h 19min 5sec -  Ex : Voix de la Russie (http://www.prorussia.tv )



Bienvenue pour cette nouvelle édition du journal télévisé de La Voix de la Russie. Ce rendez-vous hebdomadaire en français vous présente les actualités russes, françaises et internationales sous l’angle de la réinformation. Contrairement à une vision tronquée et manichéenne de l’information délivrée par le mainstream médiatique français, nous nous efforcerons de vous faire percevoir que la vérité n’est jamais toute entière du même côté…

Au sommaire de cette édition du 2 décembre 2013, une émission spéciale consacrée à la manifestation des Bonnets Rouges à Carhaix, le 30 novembre 2013. Les 5 équipes de ProRussia.tv ont donné la parole, sans censure, aux militants bretons qui ont bien voulu la prendre :
 

 

• Christian Troadec — Maire et conseiller général de Carhaix (DVG - Régionaliste breton) 
• Lucien Le Harzig — Commerçant à la retraite - Carhaix
• Thierry Jolivet — Porte-parole de «Bretagne Réunie»
• Marc Lefur — Député UMP de la 3e circonscription des Côtes d'Armor
• Yves Le Quéré — Maire de Calanhel (Côtes d'Armor
• Yannig Baron — Président de l’association «Breizh Impacte»
• Claude Rault — Collectif des transporteurs routiers bretons
• Alain Malardé — Président de l’association «Marins du Monde»
 
et des militants bretons anonymes, arrtisan à la retraite, ouvrier, syndicaliste, agriculteur, artiste, responsable du milieu associatif, salarié, patron d’entreprise.

Vous pourrez également retrouver en intégralité les interventions des dirigeants des Bonnets Rouges, sur la chaîne Le journal par chapitres.
• Christian Troadec
• Marie-Noëlle Déniel
• Jean-Marc Déniel
• Eric Berder
• Pierre Joncourt
• Olivier Le Bras

Réunis à Carhaix en centre Bretagne, pour leur seconde manifestation, le mouvement de contestation des « Bonnets rouges » a visiblement réussi son pari : réunir plus de monde qu’à Quimper le 2 novembre dernier, et cela malgré les tentatives de divisions des centrales syndicales, de représentants politiques ou les commentaires d’experts médiatiques.


En effet, l’ordre social établi et stérilisant la France depuis des dizaines d’années, est mis à mal par un mouvement populaire et enraciné qui met en évidence le manque total de légitimité de ces centrales syndicales non-représentatives, politisées et simples relais de transmissions des mots d’ordre parisiens.


De même, ce mouvement des Bonnets Rouges agace et inquiète des formations politiques, car elles n’arrivent pas à le récupérer, et ne parviennent pas à saisir cette âme bretonne, qui transgresse toutes les lignes de fractures que sont les divisions politiques droite-gauche, salariés-patrons, fonctionnaires-commerçants, actifs-retraités… bref, tout ce qui permet d’ordinaire au pouvoir en place de se maintenir, en jouant sur des divisions stériles du pays réel, afin de maintenir en place un pouvoir légal incompétent, contestable et contesté.


Les experts médiatiques s’y perdent, incapables de cacher la réalité de ce mouvement, malgré les ordres reçus des rédactions parisiennes de minorer et de caricaturer ce drôle de peuple qui a décidé de ne plus subir, mais de « vivre, décider et travailler en Bretagne ».


Car c’est bien résolument placé sous les couleurs Bretonnes, que plus de 35 000 personnes, selon les organisateurs, se sont réunies pour dénoncer un pouvoir centralisateur et uniformisateur parisien, complètement déconnecté des aspirations et des réalités locales. La rédaction de Prorussia.tv a décidé d’y consacrer ce journal et voici les différents témoignages recueillis par nos 5 équipes présentes pour l’occasion. Selon notre formule, sur des images de foule qui vous donneront l’ampleur de la mobilisation, sans guerre de chiffre, nous avons laissé s’exprimer ce peuple breton rassemblé sous les bonnets rouges et les Gwen Ah-Du.
 
Partageant comme de nombreux français le sentiment d’être méprisés mais aussi abandonnés par un pouvoir politique qui semble une fois de plus demeurer sourd et distant, ce sont des salariés, artisans, entrepreneurs, artistes mais aussi des personnes de tous les horizons qui sont venus en famille clamer encore plus fortement leurs revendications mais aussi leur attachement à leur identité régionale. Le mouvement des Bonnets Rouges est certes Breton mais il témoigne d’un mal profond qui touche toutes les régions françaises. Celui de populations qui réclament de redevenir maîtresses de leur présent comme de leur destin, et de pouvoir offrir à leurs enfants le projet de vivre, de travailler mais surtout de décider au pays, sans se voir imposer des mesures par un pouvoir jugé anti-démocratique et spoliateur. Car en effet, on ne gouverne plus à Paris, on ne fait qu’administrer les décisions prises à Bruxelles par un comité restreint de personnalités non-élues.


Devant l’impuissance, la trahison, diront les plus déterminés, des politiciens, des syndicalistes, des journalistes, le cri de colère des Bonnets Rouges en Bretagne, exprime la volonté de tout un peuple de redevenir maître de son destin et de sa terre. Face au mondialisme et au cosmopolitisme, ils veulent rester « eux mêmes »…

samedi, 07 décembre 2013

The Monroe Doctrine is History, But the Empire is Attacking Everywhere

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The Monroe Doctrine is History, But the Empire is Attacking Everywhere

Nil NIKANDROV - Ex: http://www.strategic-culture.org
 

U.S. Secretary of State John Kerry has announced the end of «the era of the Monroe Doctrine». On November 18 he gave a keynote speech on partnership with Latin America at the headquarters of the Organization of American States in Washington. For almost 200 years U.S. policy in the Western Hemisphere has been based on the doctrine named after the fifth president of the U.S., James Monroe, which declares that the countries of Latin America should not be seen by European powers as objects of colonization… 

«America for the Americans» - the United States used this slogan to mask the imperialist essence of the doctrine, which was used in the Cold War years to counter «Soviet expansion».  The Monroe Doctrine has been used to justify the suppression of revolutions in Guatemala and Chile, the physical elimination of popular leaders, and military operations against guerillas in Cuba, Nicaragua and other countries… 

The key point of Kerry's speech was the assertion that in today's historical conditions, the U.S. views the states south of the Rio Grande as «equal partners» which must «promote and protect...democracy,» «sharing responsibilities [and] cooperating on security issues». It is difficult to interpret these wordings clearly. On the one hand, Washington seems to be stating that it will not resort to armed intervention in the region to defend its «vital interests». On the other hand, the statements about «sharing responsibilities» and «cooperating on security issues» sound quite equivocal. Cooperating with whom, exactly? Against whom? And on what terms?

However, against whom the «cooperation on security issues» is to be directed follows from the speech itself. Kerry assailed Venezuela and Cuba with criticism. In his opinion, «democratic institutions are weakened» in Venezuela. Most likely Washington is irritated by the fact that the National Assembly voted to give President Nicolas Maduro special powers which he has already begun to use to stop the economic war on Venezuela (speculation, hoarding consumer goods and food, and undermining the purchasing power of the national currency, the bolivar). Venezuelans approve the measures being taken by President Maduro. The authority of the Bolivarian leadership has grown noticeably. In Cuba the head of the State Department is dissatisfied with the pace of the democratic process. Kerry stated that the U.S. hopes these processes will gain speed, that «the Cuban Government embraces a broader political reform agenda that will enable its people to freely determine their own future». And the U.S. would very much like the process of democratization in Cuba to take on a landslide-like character, similar to the process which destroyed the USSR. 

The U.S. has shelved the Monroe Doctrine, but it has not given up pressuring Latin American countries or conducting complex operations to destabilize them. Targeted propaganda attacks are carried out against undesirable leaders. Streams of slander pour down on Bolivian President Evo Morales, first and foremost because of his government’s «insufficient efforts» in fighting against illegal coca plantations and drug trafficking. And this when Bolivian intelligence agencies are battling fiercely with drug cartels financed, as a rule, though banks controlled by U.S. businessmen and the Drug Enforcement Administration (DEA). Morales gives as good as he gets, confident that the best defense is a good offence. He has more than once advocated handing over Barack Obama to a «tribunal of the peoples» to be tried for «crimes against humanity». His accusations were loudest of all in his address at the 68th session of the UN General Assembly. The Bolivian president claims that in order to maintain its dominant position in the world, the U.S. makes use of the most criminal of methods, extensively organizing conspiracies and assassination attempts. Morales has reduced contacts with representatives of the U.S. to a minimum, preferring to conduct business with China, Western European countries, Russia and Belarus. The president of Bolivia has threatened, «If we need to, we will close the U.S. embassy altogether». 

Washington has never ceased its hostile activities against Ecuador. After the CIA's failed attempt to get rid of President Rafael Correa using agents in the Ecuadorian police, the U.S. embassy is sparing no efforts to «reform» him. Adam Namm, the American ambassador in Quito, criticized President Rafael Correa for cultivating closer relations with Iran and Belarus. The response was immediate: «I am not surprised at his [Namm's] pronouncements, because the diplomat is new at these issues. Ecuador will not ask permission from anyone to maintain sovereign relations with whatever countries it wishes. It is enough to note how many countries where absolutely no elections are held at all have privileged relations with the United States. Absolute monarchies! So that's enough! We are not anyone's colony. While I am the president of this country, there will be no neocolonialism!»  Correa's harsh comments on Obama's pronouncements about the «exceptionalism of the American people», who are supposedly concerned with protecting the interests of «all humanity», are also conspicuous. The Ecuadorian president compared these claims with the «Nazi policy» of the Third Reich. 

In October Correa visited Russia, where he discussed, among other things, armaments cooperation issues and shipments of Russian armaments to Ecuador, in particular air defense systems, as well as an additional shipment of Mi-171E transport helicopters. Russia is interested in implementing several large oil and gas projects in Ecuador. The Ecuadorians are discussing prospects of intensifying military cooperation with China; recruiting Chinese specialists for the construction of an oil refinery (Refineria del Pacifico), to be completed in 2017, has also been proposed. Even now there are 60 Chinese companies working in Ecuador in the mining industry and road infrastructure construction. All of this is causing great concern in Washington, which is why the spying activities of American intelligence agencies have intensified in Ecuador. According to the site Contrainjerencia.com, in 2012-2013 the number of CIA personnel at the Ecuadorian station doubled. Agents with experience in subversive operations in Latin America are being sent to Ecuador: U. Mozdierz, M. Haeger, D. Robb, H. Bronke Fulton, D. Hernandez, N. Weber, A. Saunders, D. Sims, C. Buzzard, М. Kendrick and others. 

The problems which Washington is now having with Brazil and Argentina due to the scandalous revelations regarding the wiretapping of these countries' presidents, Dilma Rousseff and Cristina Fernandez de Kirchner, have yet to be resolved satisfactorily. The Americans have still not really apologized for the total espionage in these countries. And the espionage not only has not stopped, it has become more subtle, forcing national intelligence agencies to develop joint measures to combat the operations of the CIA, the NSA and U.S. military intelligence. At the same time, steps are being taken to create a system for fighting electronic espionage within the framework of the Union of South American Nations (UNASUR). In Mexico and the countries of Central America and the Caribbean Basin, American intelligence run things with almost no interference, unless you count Cuba and Nicaragua, whose counterintelligence agencies occasionally strike painful blows against the CIA's agent network.

Today the most important task for U.S. military and intelligence agencies is maintaining control of Honduras, which is often called the «unsinkable aircraft carrier of the U.S.» in Central America. There are already U.S. military bases located on the territory of Honduras, but the Pentagon is planning to build new air and naval bases. Washington's cynical interference in the election campaign which just took place in Honduras is yet another signal from the Obama administration to Latin America: we will protect our interests at any cost; no other outcome is acceptable to us. 

The «U.S.'s man» in the elections in Honduras is Juan Orlando Hernandez, the candidate from the conservative National Party. For over three years he headed the National Congress and contributed greatly to the consolidation of political forces hostile to ex-president Manuel Zelaya and his wife Xiomara Castro. It is she who was his main competitor in the elections as the candidate for the center-left Liberty and Refoundation Party (LIBRE). Hernandez supported the 2009 military coup d’état which led to the overthrow of Zelaya, maintains close ties with the military, and facilitated the expansion of the «security» functions of military personnel, including in fighting drug trafficking. 

For the U.S. embassy, not allowing Xiomara Castro to come to power is a matter of principle. Upcoming events will show how it will be resolved. In a radio interview with Radio Globo, Manuel Zelaya stated, «Xiomara has won the fight for the post of president of the republic. They [the Supreme Electoral Court of Honduras] are stealing the victory from Xiomara Castro. The Court's count does not stand up to statistical analysis. We do not acknowledge this result; we reject it». 

Lisa Kubiske, the U.S. ambassador in Honduras, actively interfered in the election process in order to guarantee victory for Hernandez. In essence, it is she who is Xiomara Castro's main rival. Whether the U.S. embassy will be able to ensure that Hernandez comes to power will be seen in the near future. But there is already information in the international media that in the process of counting the votes, he is leading by a wide margin.

Eerste topbankiers naar veilige locaties gevlucht

Eerste topbankiers naar veilige locaties gevlucht*

'Instorting binnen 1 tot 2 jaar'


Bankenprotest in Ierland. Feitelijk hebben de banksters wel degelijk een 'place to hide', als het hen te heet onder de voeten wordt.

Volgens 'V', de 'Guerilla Econoom' die we het afgelopen jaar al vaker hebben aangehaald, zijn de eerste topbankiers inmiddels naar veiligere oorden gevlucht, vanwaar ze hun zaken regelen. Dat betekent niet dat de 'grote crash' al morgen of volgende week komt. Het betekent wel dat de wereldsituatie veel onstabieler is dan u doorgaans te horen krijgt. 'V' denkt daarom dat het nog hooguit 1 tot 2 jaar duurt, voordat de gevreesde instorting een feit zal zijn.

'V', die ooit als topanalist bij één van de grootste Britse banken werkte en zich baseert op zijn contacten in die wereld, opereert Jamie Dimon, president van megabank JPMorgan, inmiddels vanaf één van zijn privé eilanden, en is ook zijn gezin voorbereid om daarheen te vluchten. Michael Corbat, CEO van Citigroup, is druk doende dezelfde weg te bewandelen. Lloyd Blankfein, topman van het notoire Goldman Sachs, zit op dit moment in zijn verblijf ergens in de staat New York, maar zal zeer spoedig het land verlaten.

Meer dan 1000 topbankiers stopten er al mee

Sinds 2011 hebben meer dan 1000 topbankiers en -managers plotseling ontslag genomen. Volgens V wisten zij dat het einde eraan komt, en wilden daarom tijdig hun schaapjes op het droge krijgen. Ondertussen wordt het gewone volk onwetende gehouden, onder andere met behulp van valse cijfers en statistieken, waaruit zou blijken dat het weer de goede kant opgaat.

Het tegendeel is echter waar, zegt V. De Russell 2000 Index (de kleinere en middelgrote beursgenoteerde bedrijven) is 30% overgewaardeerd, de DOW Jones index (Wall Street) zelfs 67%, en de technologie index NASDAQ 50%. 'Toch hebben de idioten 'op straat' en de kopstukken op tv het over de terugkeer van goede tijden. Maar hoe kan de markt zó hoog staan, terwijl alle belangrijke economische indicatoren een voortdurende krimp laten zien?'

Negatieve rente signaal van naderend einde

De echte economie heeft zich dan ook definitief losgemaakt van de financiële (schijn)wereld van de beurzen. Hoge aandelenkoersen zeggen hoegenaamd niets meer over de werkelijke financieel-economische situatie, die vele malen ernstiger is dan wordt voorgesteld.

Eén van de duidelijke tekenen hiervan is het -ook in het vorige artikel genoemde- plan om kosten te gaan berekenen voor positieve banksaldo's. De gewone man zal dan geld moeten betalen om zijn geld op de bank te 'mogen' laten staan. Dit betekent volgens V dat het einde van het systeem nabij is.

Ratten verlaten het zinkende schip

'Degenen in de machtselite verlaten als de spreekwoordelijke ratten het zinkende schip. Ik ben er rotsvast van overtuigd dat -onvoorziene gebeurtenissen daargelaten- we misschien nog een tot twee jaar hebben voordat de stekker uit de terminaal zieke patiënt genaamd Amerika wordt getrokken.' En zodra dat gebeurt, gaat de rest van de wereld -in meer of mindere mate, al naar gelang landen zich verbonden hebben met de Amerikaanse economie en dollar- mee. (1)

In minder in het oog springende landen is te zien hoe penibel de situatie reeds is. In Panama, een opkomende economie, is het voor Amerikanen al een maand uiterst moeilijk om geld op te nemen bij pinautomaten van verschillende banken. (2)

'Financieel verkracht' tijdens economische systeemcrisis

Twee weken geleden maakte V duidelijk dat de problemen beslist niet beperkt zullen blijven tot de VS. 'Ongeacht waar u leeft en wat uw bank is, u staat op het punt om op een zeer systematische en methodische wijze financieel verkracht te worden.'

Dit gaat veel verder dan de stapsgewijze afbraak van onze koopkracht door het creëren van enorme hoeveelheden nieuw geld. 'Het gaat veel dieper,' legde hij uit. 'De centrale banken verzamelen wereldwijd al uw persoonlijke informatie, zodat ze u aan hun controle kunnen onderwerpen.' Dit is in zijn ogen de opmaat naar een 'al lang geleden geplande wereldwijde economische systeemcrisis.' (3)

Xander

* Quotes voorlopig niet tussen aanhalingstekens, omdat dit een vervelende storing in het beheer geeft.

(1) Steve Quayle
(2) Steve Quayle
(3) Northeast Intelligence Network

Zie ook o.a.:
21-11: 'Valutaoorlog losgebarsten; Koopkracht burgers zal worden vernietigd'
18-11: Centrale banken overwegen spaarders rente te laten betalen in cashloos systeem
23-10: Trends Institute: Wereldwijde totale instorting in 2014
28-09: Ook oud-FED topman Greenspan waarschuwt voor nieuwe, nog grotere crash
20-09: Machtigste bank ter wereld kondigt financiële crash aan
01-09: Pentagon bereidt zich voor op 'grootschalige economische instorting'

La Thaïlande tournera-t-elle la page de la démocratie « à l’occidentale » ?

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La Thaïlande tournera-t-elle la page de la démocratie «à l’occidentale»?

Eric Miné

Ex: http://synthesenationale.hautetfort.com

La Thaïlande tournera-t-elle la page de la démocratie « à l’occidentale » ? C’est la question qui se pose au regard des récents développements de l’épreuve de force engagée depuis plusieurs semaines déjà dans le royaume par l’ancien vice-premier ministre Suthep Thaugsuban et ses alliés – les « jaunes » – contre le gouvernement de Yingluck Shinawatra, sœur du milliardaire en exil Thaksin, déposé lui-même par un coup d’État militaire en 2006. La radicalisation des dernières heures, qui ont vu les opposants prendre le contrôle à Bangkok de plusieurs ministères et de la télévision publique, ainsi que les premiers morts et les heurts violents qui ont eu lieu entre les affidés de la famille Shinawatra – les « rouges » – et les étudiants de l’université Ramkhamhaeng qui n’ont dû leur salut qu’à l’intervention de l’armée, pourraient bien faire basculer celle-ci en faveur d’un mouvement qui tourne à l’insurrection générale. La porte serait dès lors ouverte à une modification substantielle du régime. Là est le véritable enjeu.

Du complexe gouvernemental de Changwathana qu’occupent les chefs de la rébellion réunis sous la bannière du « Comité du Peuple pour la démocratie absolue thaïlandaise sous la monarchie constitutionnelle », Suthep Thaugsuban, avec le soutien du principal parti d’opposition parlementaire, a en effet clairement indiqué son objectif. Constatant que les élections étaient de plus en plus biaisées par les pratiques corruptives d’un capitalisme international sans scrupules abusant de populations naïves – les Shinawatra en étant l’avatar local –, il entend suspendre la démocratie électorale au profit d’institutions plus représentatives de la nation, reprenant en cela pour partie les revendications insatisfaites des ultra-royalistes du Pad qui avaient bloqué en 2010 les aéroports de la capitale et provoqué la chute d’un précédent gouvernement pro-Thaksin. Si ceux-ci voulaient alors tempérer le pouvoir des députés issus du vote par l’instauration à la chambre de corps désignés pérennes – aristocratique, militaire et religieux –, il semble que Suthep inclinerait davantage vers une expression plus corporatiste des volontés du peuple, mais dégagée tout autant d’une contrainte des urnes jugée aujourd’hui sous ces cieux fauteuse de troubles.

Si l’on en juge par l’élan général et l’enthousiasme suscité, nonobstant les médias occidentaux qui ne voudraient voir dans ces événements que la répétition d’une crise sociale récurrente qui verrait s’opposer des « élites citadines gravitant autour du palais » à des « masses rurales défavorisées du nord-est », il s’agit bien là d’une révolte populaire visant à sauver les intérêts vitaux et les valeurs fondatrices d’un pays qui a su jusque là s’accommoder de la mondialisation tout en préservant ses traditions et ses règles. Ce qui est condamné là-bas, c’est précisément notre modèle démocratique prétendument universel, mais de fait idéologique, daté et occidental.

Si l’entreprise de Suthep Thaugsuban devait être couronnée de succès, elle pourrait ainsi donner des idées à d’autres qui souffrent tout autant ailleurs d’un système n’engendrant plus qu’une représentation collective erronée des peuples pour mieux les soumettre à ses dérives financières, consuméristes et totalitaires.

La portée de ce qui se joue aujourd’hui à Bangkok va donc bien au-delà des frontières d’un royaume tropical prisé des touristes pour ses cocotiers et son sourire.

Article publié sur Breizh info cliquez ici

Le blog d'Eric Miné cliquez là

vendredi, 06 décembre 2013

Dollar survival behind US-China tensions

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Dollar survival behind US-China tensions
 
By Finian Cunningham
 
Ex: http://www.presstv.ir
The escalation of military tensions between Washington and Beijing in the East China Sea is superficially over China’s unilateral declaration of an air defense zone. But the real reason for Washington’s ire is the recent Chinese announcement that it is planning to reduce its holdings of the US dollar.


That move to offload some of its 3.5 trillion in US dollar reserves combined with China’s increasing global trade in oil based on national currencies presents a mortal threat to the American petrodollar and the entire American economy.

This threat to US viability - already teetering on bankruptcy, record debt and social meltdown - would explain why Washington has responded with such belligerence to China setting up an Air Defense Identification Zone (ADIZ) last week extending some 400 miles from its coast into the East China Sea.

Beijing said the zone was aimed at halting intrusive military maneuvers by US spy planes over its territory. The US has been conducting military flights over Chinese territory for decades without giving Beijing the slightest notification.

Back in April 2001, a Chinese fighter pilot was killed when his aircraft collided with a US spy plane. The American crew survived, but the incident sparked a diplomatic furor, with Beijing saying that it illustrated Washington’s unlawful and systematic violation of Chinese sovereignty.

Within days of China’s announcement of its new ADIZ last week, the US sent two B52 bombers into the air space without giving the notification of flight paths required by Beijing.

American allies Japan and South Korea also sent military aircraft in defiance of China. Washington dismissed the Chinese declared zone and asserted that the area was international air space.

A second intrusion of China’s claimed air territory involved US surveillance planes and up to 10 Japanese American-made F-15 fighter jets. On that occasion, Beijing has responded more forcefully by scrambling SU-30 and J-10 warplanes, which tailed the offending foreign aircraft.

Many analysts see the latest tensions as part of the ongoing dispute between China and Japan over the islands known, respectively, as the Diaoyu and Senkaku, located in the East China Sea. Both countries claim ownership. The islands are uninhabited but the surrounding sea is a rich fishing ground and the seabed is believed to contain huge reserves of oil and gas.

By claiming the skies over the islands, China appears to be adding to its territorial rights to the contested islands.

In a provocative warning to Beijing, American defense secretary Chuck Hagel this week reiterated that the decades-old US-Japan military pact covers any infringement by China of Japan’s claim on the Diaoyu/Senkaku Islands.

It is hard to justify Washington and Tokyo’s stance on the issue. The islands are much nearer to China’s mainland (250 miles) compared with Japan’s (600 miles). China claims that the islands were part of its territory for centuries until Japan annexed them in 1895 during its imperialist expansion, which eventually led to an all-out invasion and war of aggression on China.

Also, as Beijing points out, the US and its postwar Japanese ally both have declared their own air defense zones. It is indeed inconceivable that Chinese spy planes and bombers could encroach unannounced on the US West Coast without the Pentagon ordering fierce retaliation.

Furthermore, maps show that the American-backed air defense zone extending from Japan’s southern territory is way beyond any reasonable halfway limit between China and Japan. This American-backed arbitrary imposition on Chinese territorial sovereignty is thus seen as an arrogant convention, set up and maintained by Washington for decades.

The US and its controlled news media are absurdly presenting Beijing’s newly declared air defense zone as China “flexing its muscles and stoking tensions.” And Washington is claiming that it is nobly defending its Japanese and South Korea allies from Chinese expansionism.

However, it is the background move by China to ditch the US dollar that is most likely the real cause for Washington’s militarism towards Beijing. The apparent row over the air and sea territory, which China has sound rights to, is but the pretext for the US to mobilize its military and in effect threaten China with aggression.

In recent years, China has been incrementally moving away from US financial hegemony. This hegemony is predicated on the US dollar being the world reserve currency and, by convention, the standard means of payment for international trade and in particular trade in oil. That arrangement is obsolete given the bankrupt state of the US economy. But it allows the US to continue bingeing on credit.

China - the second biggest economy in the world and a top importer of oil - has or is seeking oil trading arrangements with its major suppliers, including Russia, Saudi Arabia, Iran and Venezuela, which will involve the exchange of national currencies. That development presents a grave threat to the petrodollar and its global reserve status.

The latest move by Beijing on November 20 giving notice that it intends to shift its risky foreign exchange holdings of US Treasury notes for a mixture of other currencies is a harbinger that the
American economy’s days are numbered, as Paul Craig Roberts noted last week.

This is of course China’s lawful right to do so, as are its territorial claims. But, in the imperialist, megalomaniac mindset of Washington, the “threat” to the US economy and indebted way of life is perceived as a tacit act of war. That is why Washington is reacting so furiously and desperately to China’s newly declared air corridor. It is a pretext for the US to clench an iron fist.

FC/HJL
 
Finian Cunningham (born 1963) has written extensively on international affairs, with articles published in several languages. He is a Master’s graduate in Agricultural Chemistry and worked as a scientific editor for the Royal Society of Chemistry, Cambridge, England, before pursuing a career in journalism. He is also a musician and songwriter. For nearly 20 years, he worked as an editor and writer in major news media organisations, including The Mirror, Irish Times and Independent. Originally from Belfast, Ireland, he is now located in East Africa as a freelance journalist, where he is writing a book on Bahrain and the Arab Spring, based on eyewitness experience working in the Persian Gulf as an editor of a business magazine and subsequently as a freelance news correspondent. The author was deported from Bahrain in June 2011 because of his critical journalism in which he highlighted systematic human rights violations by regime forces. He is now a columnist on international politics for Press TV and the Strategic Culture Foundation.

Empêcher le déclin de l'Europe

1101110822_400.jpgEmpêcher le déclin de l'Europe
 
Il faut changer l’économie

Auran Derien
Ex: http://metamag.fr
Karen Hudes confirme les analyses et réflexions des hommes d’honneur sur le totalitarisme économique. En poste à la Banque Mondiale, elle a été remerciée après avoir observé des malversations diverses. Mme Hudes explique tranquillement qu’une mafia a mis la main sur le système financier mondial. Par le jeu des participations, ce gang contrôle les ressources de la planète et surtout les medias pour qu’ils pratiquent la stratégie du champignon. Cette stratégie du champignon, selon un expert de la Banque Mondiale, consiste à “pourrir les gens et à les laisser dans l’obscurité”. 

Plus profondément, les informations certifiées de Mme.Hudes aident à comprendre la nature particulière de l’infamie occidentale ; il en résulte l’impossibilité de trouver des comparaisons pertinentes avec d’autres époques, malgré les efforts déployés par le comparatiste David Engels (Le déclin. La crise de l’Union Européenne et la chute de la République Romaine. Ed.du Toucan, 2013, 380p., 20€).

Le Déclin: une approche insuffisante.

 
David Engels sélectionne 12 thèmes, de la tolérance à la solidarité, en passant par l’épanouissement personnel, la religion, l’Etat de droit, la paix, etc. Il les met en parallèle, compare la perception actuelle avec la situation de la fin de la République romaine, les cent ans qui précédèrent l’Empire, soit entre 133 et 27 a.J.C. Très régulièrement, l’auteur nous intéresse car les connaissances ainsi mises à notre portée relativisent quelques-uns des problèmes contemporains. L’écrasement des sectateurs de Gracchus, les guerres civiles, les satires de Juvénal, la tolérance qui conduit à ne plus résister aux manigances, le déclin irréversible de la démocratie, les pays les plus dangereux pour la paix, la surveillance idéologique, tout est occasion de confrontations entre passé et présent. 

Pourtant, les 12 chapitres n’éclairent pas vraiment la spécificité du présent, car il n’est pas sûr que le concept de déclin soit adapté à la situation, ni la structure de l’occident apte à une comparaison ancestrale. La décadence est visible, non le déclin, et la nouvelle structure de terreur décrite par Karen n’existait pas à Rome. 

Une Décadence mortelle.

 
Julien Freund (La décadence, Sirey, 1984 ) enseignait que la décadence désignait trois types de phénomènes : la disparition totale d’un peuple et d’une civilisation ; la chute d’une civilisation qui transmet des éléments aux civilisations suivantes ; la transformation interne d’une civilisation qui abandonne certains de ses traits. Le déclin de la République romaine s’apparente à ce dernier phénomène : après la République vint l’Empire. Mais l’Europe est immergée dans le premier cas de figure : elle a des ennemis fanatiques, les brutes globalitaires qui organisent méthodiquement et systématiquement l’assassinat des européens, le génocide de la population autochtone, la paupérisation de tous. La globalisation sous la férule de la super classe mondiale, c’est l’inhumanité. A cela, jamais la République romaine n’a été confrontrée.

Le soviet suprême de la finance 

 
Karen Hudes explique bien que le soviet suprême de la finance existe, légalement, sous la forme de la Banque des Réglements Internationaux ; de manière plus discrète, à travers le groupe de banksters “centré autour de la Réserve fédérale américaine privée”. Les rares travaux portant sur le système économique totalitaire occidental prouvent l’existence d’une quarantaine d’entités qui contrôlent l’ensemble. Les organisations publiques, FMI, Banque Mondiale, Banques centrales etc. sont au service de ce gang privé, noyau de la supra société globalitaire observée par feu Alexandre Zinoviev. Ce pouvoir est illégitime et criminel et l’inhumanité, lorsqu’elle est pratiquée au plus haut niveau, devient intouchable. C’est la situation actuelle. Aucun pays n’est suffisamment indépendant et puissant pour s’y opposer. L’âge de la haine, de l’esclavage et du néant a commencé au cours de cette génération 68 où pourtant Guy Debord avait annoncé que la décadence était au service de l’empire de la servitude, raison pour laquelle les prédicateurs médiatiques l’appelaient progrès. Il est impossible de trouver un équivalent dans la République romaine tardive. 

Quelle voie suivre ?

Dans une phase historique de décadence, sans antécédent pouvant guider l’action, il serait utopique et artificiel de vouloir revenir à l'ordre antérieur et de remettre sur leur trône de vieux caciques. Chacun doit agir dans la cohérence, en opérant des choix précis. Il faut tenter de vivre de nouvelles expériences, de créer de nouvelles formes d'expression, de rechercher de nouvelles solidarités. La prolifération de nouveaux mages démagogues est normale car les esprits simples ont besoin d’un fonds de religiosité, d’une boussole primitive dans une aire où toute orientation a disparu. La voie à suivre est de se chercher une forme de responsabilité spécifique. Se métamorphoser pour garder son Être propre est la seule orientation noble face à ceux qui, sur ordre du gang globalitaire, détruisent l’humain par le pillage, la haine et le mensonge. 

Ukraine : le coup d’état bruxellois

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Ukraine : le coup d’état bruxellois
 
La démocratie totalitaire en action

Jean Bonnevey
Ex: http://metamag.fr

Il y a eu en Ukraine une révolution orange. On sait que c’était un leurre. Il s’agissait d’une opération préparée par les Usa et leurs alliés pour renverser un régime pro-russe au nom de la démocratie libérale alignée sur les intérêts économiques de l’occident. Le mouvement présenté comme spontané avait été préparé avec une formidable logistique mise en place par des mouvements humanitaires financés par les américains et dans un but de subversion démocratique.


Le résultat immédiat de la Révolution orange fut l'annulation par la Cour suprême du scrutin et l'organisation d'un nouveau vote le 26 décembre 2004 qui voit la victoire de Viktor Iouchtchenko avec 52 % des voix contre 44 % pour son rival Viktor Ianoukovytch. Sa présidence est cependant entachée de crises politiques multiples avec les gouvernements successifs. D'un point de vue géopolitique, la Révolution orange marque un rapprochement de l'Ukraine avec l'OTAN et avec l'Union européenne. Pro-européen convaincu, mais accusé de russophobie dans un pays très divisé entre l'est russophone et l'ouest plus pro-occidental, Iouchtchenko battra très vite des records d'impopularité. Il ne parviendra pas à gérer les problèmes de la crise économique mondiale de 2008-2010 dans un pays qui en est fortement affecté. La révolution orange était considérée comme close par la victoire du pro-russe Viktor Ianoukovitch à l'élection présidentielle ukrainienne de 2010. Quant à Iouchtchenko, il recueillera seulement 5,45 % des voix. Comme quoi !


Ce qui se passe aujourd’hui est peut être une deuxième révolution orange. En tout cas les manifestants contestent une décision d’un gouvernement légalement élu. C’est le refus de la signature d’un accord avec l’Europe de Bruxelles et un nouveau rapprochement avec Moscou qui est à l’ origine de ces manifestations qui veulent renverser le pouvoir, ce qui, n’en déplaise à Washington, est tout de même la définition d’une révolution.


Tout cela bien sûr est préparé pour stopper le retour en force de la Russie sur la scène internationale et rendre en fait à Poutine la monnaie de sa pièce de Damas. Ces manifestations sont devenues « incontrôlables » et leurs instigateurs utilisent des « méthodes illégales » pour renverser le pouvoir, s'est indigné dans la journée le premier ministre ukrainien, Mykola Azarov. « Ce qui se passe présente tous les signes d'un coup d'Etat. C'est une chose très sérieuse. Nous faisons preuve de patience, mais nous voulons que nos partenaires ne pensent pas que tout leur est permis », a-t-il ajouté. 


« Nous ne considérons certainement pas des manifestations pacifiques comme des coups d'Etat », a déclaré le porte-parole du président Barack Obama, Jay Carney. Emboîtant le pas aux diplomates de Bruxelles, le président français François Hollande et le premier ministre polonais Donald Tusk avaient condamné plus tôt « les violences ».


Les médias soutiennent la révolution et ont même trouvé une figure emblématique. Ce n’est plus une blonde ukrainienne mais une brute de boxeur qui serait également- pourquoi pas – un intellectuel  raffiné. Le chef du parti libéral Oudar est donc l'opposant le plus en vue. Cet ancien boxeur – il a été champion du monde dans la catégorie poids lourds – est entré en politique il y a quelques années pour rapidement s'imposer comme l'une des étoiles montantes de l'échiquier politique ukrainien. Malgré un physique impressionnant (2,02 m pour 110 kg) et sa forte médiatisation, son manque de charisme lui est reproché, tandis que sa légitimité politique reste à construire.


Candidat malheureux à la mairie de Kiev en 2006, le seul mandat qu'il a exercé est celui de député, depuis 2012. Ces derniers jours cependant, devant la foule de manifestants, ses discours étaient les plus applaudis et son nom fréquemment scandé. Klitschko, qui a fait de la lutte contre la corruption sa principale bataille, est respecté dans le pays pour avoir bâti honnêtement sa fortune, par ses victoires sportives, et non par des affaires frauduleuses.Voila la boxe devenu subitement  à nouveau pour les journalistes «  un noble art » et un sport éthique….adieu Rocky.


Reste à savoir si le judoka Poutine laissera ses alliés ukrainiens être mis Ko par un boxeur aux gants préparés par Bruxelles et Washington.

La voie ukrainienne

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La voie ukrainienne

http://www.dedefensa.org

Bien entendu, les “images” abondent, c’est-à-dire les illustrations des habituelles narrative en développement pour ce genre de situation. («A broad desire to change the way their country is run is driving Ukrainians to the streets.», nous disent, la plume mouillée, Jana Kobzova et Balazs Jarabik, dans EUObserver le 3 décembre 2013.) Il y a, dominant le tout, la narrative vertueuse et pleine d’espérance démocratique de la “Révolution Orange-II”, qui a l’avantage, pour nombre de plumitifs de la presse-Système, d’user de la technique du “copié-collé” avec leurs articles de 2003-2004 pour nous présenter d’excellentes analyses-Système de la situation ukrainienne de 2013. Cela, c’est pour le décor de carton-pâte et la facilité de la lecture.

Les protestations de l’opposition ont commencé après le refus du gouvernement ukrainien de signer l’accord de coopération avec l’UE. Le lien entre les deux était évident, dans la narrative de convenance, et il a été aussitôt imposé comme allant de soi. Pourtant, la phase de la protestation n’est peut-être si complètement liée avec la question de l’accord UE refusé. C’est une interprétation qui est assez courante, et par ailleurs assez évidente ; c’est celle de Poutine, comme celle du Polonais Mateusz Piskorski, député et directeur du European Centre of Geopolitical Analysis, qui juge que si l’opposition qui tient la rue venait au pouvoir, elle-même ne signerait pas l’accord avec l’UE («I guess that even the opposition, if it comes to power in the coming months, wouldn’t be ready to sign free trade agreement with Europe...»).

Nous dirions que la phase des protestations de rue doit être détachée de la phase des négociations avec l’UE et de la rupture, pour être considérée en elle-même comme une crise interne ukrainienne, renforcée par les diverses forces extérieures de déstabilisation (celle-là, certes, sur le modèle de la “Révolution Orange”, bien entendu, avec les usual suspects, ou pour faire plus net, les coupables habituels, tout l’appareil “sociétal” de subversion et de déstructuration du bloc BAO). Finalement, la situation interne ukrainienne joue le rôle central, avec une prodigieuse corruption, touchant tous les appareils politiques, celui du gouvernement comme celui de l’opposition, une gestion grossière des situations de crise (les violences de la police), une tension endémique entre les deux parties du pays, s’opposant selon des fractures religieuses, ethniques, culturelles, etc., entre “pro-russes” à l’Est et “anti-russes” à l’Ouest. Tous ces éléments sont archi-connus et admis, d’une façon beaucoup plus évidente qu’en 2003-2004, d’autant que la situation n’a fait qu’empirer à cet égard. Le soi-disant pro-russe et président ukrainien Viktor Ianoukovitch et son gouvernement ne sont guère plus appréciés des commentateurs russes que des commentateurs du bloc BAO, et en général pour des raisons sérieuses, dénuées de l’affectivité sociétale qui marque les écrits des seconds. (Fédor Loukianov, le 29 novembre : «Mais l'esprit de compétition va se dissiper et on ignore toujours quoi faire avec ce pays voisin et aussi proche. Après tout l’Ukraine n'a fait aucun choix en faveur de Moscou, elle l’a une nouvelle fois esquivé en espérant pouvoir continuer à mener par le bout du nez les uns [l’UE] et les autres [la Russie]...») On citera ici plus en détails quelques observations sur la situation en Ukraine.

• Quelques observations sans ambages de Poutine (Russia Today, le 3 décembre 2013) lors d’une visite en Arménie, assorties de l’affirmation officielle que la Russie se tient de toutes les façons complètement en dehors des actuels événements, selon le principe de la souveraineté.

«“As far as the events in Ukraine are concerned, to me they don’t look like a revolution, but rather like 'pogrom'. However strange this might seem, in my view it has little to do with Ukrainian-EU relations,” Putin said. [...] “What is happening now is a little false start due to certain circumstances… This all has been prepared for the presidential election. And that these were preparations, in my opinion, is an apparent fact for all objective observers,” Putin stressed.

»He has said that now the Ukrainian opposition is either not in control of the protests, or it may serve as a cover-up for extremist activities. The footage from Kiev clearly shows “how well-organized and trained militant groups operate,” the Russian President said. Nobody seems to be concerned with the actual details of the Ukrainian-EU agreement, Putin said. “They say that the Ukrainian people are being deprived of their dream. But if you look at the contents of the deal – then you’ll see that the dream may be good, but many may not live to see it,” he argued. Putin then explained that the deal offered to Ukraine by the EU has “very harsh conditions”.»

• L’analyste William Engdahl estime que les événements actuels en Ukraine son essentiellement la réalisation d’un programme du bloc BAO, avec les USA “manipulant“ l’UE, avec les habituels outils de subversion (thèse de la “Révolution Orange-II”). Il met aussi en évidence la responsabilité de la direction ukrainienne. (Russia Today, le 2 décembre 2013.)

«First of all I think it’s quite right about the economic damage with the special association with the European Union. This was a Washington agenda and has been for more than six years. The EU is simply acting as a proxy for Washington to essentially strip Ukraine from Russia and weaken and isolate Russia even more. So the geopolitical stakes are huge in this.

»The Ukrainian police made a colossal blunder, the same as Milosevic made back in Yugoslavia, and the same blunder that Bashar Assad made at the onset of the protests in Syria – and that is to react with state violence, because that is exactly what the opposition was hoping and praying for: that they would lose their cool and give a red flag for the protesters to come out on mass. And that’s precisely what has happened.»

• Enfin, on citera le Polonais Mateusz Piskorski, interviewé le 2 décembre 2013 par Russia Today. Ses réponses, qui reprennent les lignes générales déjà vues, donnent des détails intéressants sur la situation interne de l’Ukraine et sur les événemets.

Russia Today : «Ukraine is a divided country, with the West ardently supporting European integration and the East historically more pro-Russian. Do you think the opposition intends to have some kind of dialogue with the easterners?»

Mateusz Piskorski : «I guess, first and foremost, all the protests that we can now see in the central squares and streets of Kiev are protests that have been raised or supported by some external factors and actors of the Ukrainian political scene. First, we see a huge professionalism of those who have organized the protests, because before the protests we heard about the activities of several embassies and NGOs financed and supported by different foreign countries. So we see this kind of pressure exerted by the external forces for the Ukrainian government to think once again about which geopolitical and geo-economic choice would be right and better for Ukraine. We can, of course, see the protests organized by the other side, by the Ukrainian Communist Party, by some members of the Party of Regions, which are in the eastern and southern towns of Ukraine. Unfortunately, in Europe and the United States we only see what is happening now in Kiev, but we cannot see the reaction of the other parts of Ukraine.» [...]

Russia Today : «Should the opposition succeed in overthrowing the government in Ukraine? Do you think the EU want to associate with such a turbulent nation as Ukraine?»

Mateusz Piskorski : «I think for the moment being any kind of association and signing a deeper and more comprehensive fair trade agreement between the EU and Ukraine would be a kind of economic suicide for Ukrainian side. If we look at the things which have happened during the last few months, I mean during the economic conflict between Russia and Ukraine, it was a clear proof that Ukraine’s economy is very closely connected to Russia. These are the ties that have remained from the Soviet times; we perfectly know that Ukraine is a part of the post-soviet economic area which is now integrating into the Eurasian bloc. We can tell only that the EU is not capable of compensating all the financial losses that Ukraine would encounter in case of closer cooperation with the EU. I guess that even the opposition, if it comes to power in the coming months, wouldn’t be ready to sign free trade agreement with Europe if it studies the possible results of such an agreement, as well as of the association agreement. This pro-European rhetoric aims at causing internal crisis and early elections, perhaps next year.»

D’une façon générale, on trouve dans ces diverses déclarations la confirmation des différents éléments déjà mentionnés : l’aspect catastrophique pour l’Ukraine de l’accord avec l’UE, la situation de corruption générale de la classe politique, l’absence d’habileté des réactions des autorités, l’intervention sans doute très importante d’éléments extérieurs de désordre et de déstabilisation. Certains détails, certaines précisions sont discutables. Il y a, notamment pour notre compte, l’analyse d’Engdahl faisant de l’UE un outil d’un “agenda” US : notre analyse est bien que l’UE agit dans ce cas sans nécessité d’impulsion ou d’“ordre” washingtonien, mais de son propre chef, selon l’impulsion-Système affectant tous les acteurs du bloc BAO dans la course à l’expansion et à la puissance quantitative. Bien entendu, les différents groupes et réseaux de déstabilisation US suivent, comme ils n’ont jamais cessé de faire en soutenant tout ce qui a un ferment de déstabilisation. Le but de déstabiliser les voisins de la Russie sinon la Russie elle-même est également évident, mais comme un comportement quasiment mécanique, se nourrissant de lui-même depuis la chute de l’URSS et surtout depuis 9/11. Il n’y a là-dedans rien de nouveau ni rien d’absolument efficace...

Le plus extrême de cette situation, d’un point de vue institutionnel, serait la chute de Ianoukovitch et l’arrivée au pouvoir de l’opposition. On se trouverait alors devant une nouvelle phase de la même séquence, aboutissant au délitement du nouveau gouvernement dans la corruption et le reste. Le seul facteur qui pourrait interrompre cette espèce d’évolution “en boucle” comme l’on dirait de l’inventeur du mouvement perpétuel serait une rupture opposant les deux parties du pays, la pro-russe et l’antirusse. Dans ce cas, le processus de déstabilisation-déstructuration de l’Ukraine passerait au stade du processus de déstabilisation-dissolution, toujours selon un cheminement classique des événements dans la crise générale qui nous affecte. On se trouverait alors devant des perspectives inconnues, les acteurs extérieurs étant cette fois directement concernés, mais des perspectives inconnues toujours marquées par les contraintes et les pesanteurs autant de l’Ukraine elle-même que de la domination du facteur de la communication.

Le principal enseignement se trouve plutôt dans le constat de la tendance au désordre de la situation considérée objectivement, et le constat de la tendance à accentuer le désordre de la part des acteurs du bloc BAO qui sont les principaux représentants du Système. On dira : rien de nouveau là-dedans, notamment par rapport au temps de la “Révolution Orange-I”, et alors pourquoi ne pas parler effectivement d’une “Révolution Orange-II” en reprenant les logiques et les accusations qui accompagnèrent l’événement ? Simplement parce qu’il s’est écoulée une quasi-décennie entre les deux événements, et si les composants ukrainiens (situation interne et interventionnisme déstabilisant) n’ont pas changé, par contre les situations internes du bloc BAO ont complètement basculé dans la crise ouverte. Dans ce sens, la poursuite des mêmes tactiques de déstabilisation et de déstructuration change complètement de sens et pourrait conduire, au niveau des relations internationales, avec le chaudron ukrainien toujours actif et conduit à une nouvelle phase paroxystique, à des situations de tension renouvelée ou accentuée, induisant alors par conséquence d’enchaînement indirect un désordre encore plus accentué où tous les acteurs seraient concernés.

C’est-à-dire qu’on ne peut revenir à la situation de la “Révolution Orange-I” où il semblait qu’une Russie encore affaiblie était assiégée par les acteurs occidentaux (non encore constitués en bloc BAO), semblant alors encore triomphants malgré les premiers revers (évolution de la situation en Irak). Aujourd’hui, la crise interne du bloc BAO, c’est-à-dire la crise du Système, et même la crise d’effondrement du Système, tout cela est partout présent et produit constamment des effets et des interférences aux conséquences insaisissables et souvent catastrophiques. Par conséquent, et à terme assez court, si le désordre en Ukraine se poursuit et débouche sur une nième déstabilisation du pays, la Russie en sera affectée, mais également le bloc BAO d’une façon ou d’une autre. En langage express des experts-Système, il s’agit d’une situation lose-lose classique, comme on en voit partout, avec la diffusion du désordre nihiliste caractérisant les effets des politiques en cours. A ce point du raisonnement, on irait même jusqu’à observer, malgré la proximité du nouveau foyer de désordre, que la Russie serait la première à réagir d’une façon constructive, si elle s'appuie comme elle a coutume de faire sur sa politique principielle de fermeté, contre le désordre anarchique des “valeurs” du bloc BAO. Et, certes, dans le cas contraire, si la situation en Ukraine s’apaise, ce ne sera que temporaire vu l’état intérieur du pays et surtout de sa direction, et le mécanisme de déstabilisation-déstructuration se manifesterait à une prochaine occasion.

Tout cela témoigne non pas d’affrontements ordonnés assortis d’“agendas” cohérents, notamment de type géopolitique, mais bien du tourbillon de désordre de l’ère psychopolitique. Chercher un vainqueur dans une telle occurrence n’a pas de sens, tout comme la situation elle-même. (Les résultats obtenus finalement, quelques années plus tard, par les diverses “révolutions de couleur” de la période 2003-2005, pourtant parties de bases infiniment mieux maîtrisées, sont éloquents à cet égard : accentuation du désordre partout où ces événements eurent lieu, renforcement de la Russie autour de sa politique principielle, qui en fait l’acteur le plus sûr mais tout de même sans capacité de vaincre ce désordre [voir le 2 décembre 2013].) Bien évidemment, si l’on s’arrête aux événements du jour, aux vociférations de foules plus ou moins malheureuses et plus ou moins manipulées à la fois, aux slogans du bloc BAO et à la narrative de ses commentateurs, on peut toujours s’exclamer devant la puissance du Système et à nouveau proclamer son invincibilité. Pour notre cas, nous verrons dans tout cela, selon notre analyse classique, la manifestation évidente de sa surpuissance se transformant instantanément en effets d’autodestruction.

Svoboda: nieuwe lieveling van de westerse media?

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Svoboda: nieuwe lieveling van de westerse media?

Ex: http://www.solidarisme.be

Svoboda is een Oekraïnse nationalistische oppositiepartij die deel uitmaakt van de Europese Alliantie van Nationale Bewegingen, waarvan ook de British National Party, het Franse Front National en het Hongaarse Jobbik deel uitmaken.

Niks bijzonders, ware het niet dat de (West-)Europese partners van Svoboda bij de westerse massamedia als extreem-rechts geboekstaafd staan en dus als politieke paria's behandeld worden. Svoboda, dat dezer dagen prominent aanwezig is op antiregeringsbetogingen in Oekraïne, kan daarentegen op een (schijnbare) voorkeursbehandeling rekenen. Aanleiding voor die onlusten was de weigering van de pro-Russische president Viktor Janoekovitsj om een associatieovereenkomst met de Europese Unie te ondertekenen.

Is dat overigens geen eigenaardig déjà vu? Toen Viktor Joestsjenko, de pro-westerse presidentskandidaat en latere president van Oekraïne, in 2004 door 'neonazi's' en 'skinheads' (zoals dat heet) bleek te worden gesteund en zelfs een beroep op hen deed, namen diezelfde westerse media dat immers ook voor lief:

De Vries, C. (30 december 2004). Neonazi's en skinheads steunen Joestsjenko, De Morgen/De Volkskrant, p. 6

De westerse media en opiniemakers kennen weinig scrupules als het erom gaat nieuwe 'wingewesten', zoals nu Oekraïne, in te lijven bij de EU (en uiteindelijk ook de NAVO). Zo ook hadden twee bekende nationale veiligheidsadviseurs van de Verenigde Staten, Henry Kissinger en later Zbigniew Brzezinski, in de jaren '70 geen scrupules toen ze, om de USSR te verzwakken, de diplomatieke betrekkingen met maoïstisch China herstelden (en Taiwan opofferden). Nochtans was maoïstisch China een regime dat de 'conservatieve' (poststalinistische) USSR in wreedheid en collectivistische waanzin vele malen overtrof:

'KOESTER HET GEWELD'

Al van bij de aanvang laat Dikötter er geen twijfel over bestaan dat Mao geweld en terreur koestert om z’n doel te bereiken. Mao haalt daarvoor de mosterd bij z’n sponsor en leidsman, Sovjet- dictator Jozef Stalin. Dikötter legt minutieus uit hoe Mao het gemeenschapsgevoel in de dorpjes kapot maakt door per se ‘klassen’ in te voeren - zoals ‘landheren’ - die er eigenlijk niet zijn. Daardoor zet hij iedereen tegen iedereen op. Bovendien introduceert hij grootschalig georganiseerd geweld tegen ‘contrarevolutionairen’. Mao werkt net als Stalin met quota: minstens één op de duizend tegenstanders moet worden omgebracht. Op tal van plaatsen wordt dat door ijverige communisten opgedreven tot drie op duizend. In totaal gaat het om miljoenen mensen die vaak zonder enige reden de dood worden ingejaagd. Dat schept een sfeer van angst en terreur in heel China. De oorlog in Korea, waarin China meegezogen wordt doet daar een schep bovenop.

Bron: De tragiek van de bevrijding - Frank Dikötter (cobratv.be)

Diezelfde pro-Chinese politiek leidde er overigens ook toe dat de VS het uitermate wreedaardige regime van de Rode Khmer ('Democratisch Kampuchea') bleven erkennen, ook nadat het allang met Vietnamese (en Russische) steun in het grootste deel van Cambodja was verslagen.

Eenzelfde verdeel-en-heers- of machtsevenwichtpolitiek werd nadien in Centraal Azië voortgezet door Brzezinski, die werkzaam was onder Jimmy Carter, de VS-president die als eerste de 'mensenrechten' tot thema maakte (waaruit zich vanaf de jaren '90 dan weer het 'humanitaire' interventionisme zou ontwikkelen). Hij had onder meer het lumineuze idee om in Afghanistan een internationaal netwerk van moedjahedien (jihadisten) op te richten en te bewapenen, om zo het Rode Leger tot een uitputtingsoorlog te dwingen en de USSR (verder) te verzwakken. Zo is Al Qaeda (alias De Basis) ontstaan vanuit de tactische berekening (misrekening?) van Brzezinski en als covert operation van de CIA:

Sinds het einde van de Tweede Wereldoorlog en sinds dat bewuste akkoord met de Saoedi's [het Quincy-pact, n.v.d.r.] is de Amerikaanse politiek in het Midden-Oosten zeer stabiel geweest : petromeum was de drijfveer. De Amerikanen hadden uit de Tweede Wereldoorlog een zeer belangrijke les getrokken : om een machtspositie te bekleden in de wereld is de bevoorrading in grondstoffen en brandstof van kapitaal belang. En de controle over de grondstoffen in de landen van het Zuiden was met de Koude Oorlog bijzonder complex geworden. Vandaar dat de oorlog in Afghanistan zo'n belangrijk moment is geweest in de Amerikaanse geschiedenis. Het ging hier om een oorlog met het Rode Leger, waarmee de Amerikanen wraak wilden nemen voor hun nederlaag in Vietnam. Vanaf 1979 hebben de VS deze oorlog gevoerd met hulptroepen : de omkadering was Pakistaans, de financiering - met publieke en privé fondsen - was Amerikaans en Saoedisch. Op die manier werden de meest radicale islamistische milities - zoals de groep van Gulbuddin Hekmatyar - gevormd, getraind en gefinancierd. Na de nederlaag en de terugtrekking van het Rode Leger uit Afghanistan is dit apparaat van de Amerikaanse politiek in deze regio niet verdwenen. De islamistische netwerken bleven onverminderd gesteund door de Pakistaanse geheime diensten (de ISI of Inter Service Intelligence), de Amerikaanse CIA en tal van privé agentschappen. Je zou kunnen stellen dat de Amerikanen uit louter bureaucratische overwegingen deze netwerken in stand hebben gehouden.

Bron: "Islamitisch fundamentalisme is vooral islam-business" aldus Richard Labévière (Uitpers)

Berucht om zijn machtsevenwichtpolitiek (en imperalisme) kreeg het Britse Rijk als bijnaam 'het perfide Albion' van de Franse keizer Napoleon. Tot in de recente geschiedenis zijn de voorbeelden van Brits verraad dan ook legio. Laten we even terugkeren naar, alweer, Oost-Europa. De Polen, die altijd al sterke anti-Russische sentimenten gehad hebben (kijk maar naar Brzezinski, zelf van Poolse afkomst), zijn na de Tweede Wereldoorlog behoorlijk bedrogen door hun westerse 'geallieerden'. Churchill en Roosevelt gaven Stalin hun Poolse vaderland op een serveerblaadje cadeau (en al wie Stalin niet zinde erbij). De massamoord op 25 000 Poolse officieren, bevolen door Stalin en bedoeld om van de Polen een volk zonder elite te maken, werd op het Nürnberg-tribunaal ei zo na niét in de schoenen van de 'boze nazi's' geschoven. Stalins beulen mogen al van geluk spreken dat de slachting nooit werd berecht! Maar wacht even: was Polen niet de aanleiding voor heel de Tweede Wereldoorlog? En hebben Polen niet hun leven gegeven, in het bijzonder bij de slag om Monte Cassino, om hun vaderland terug te krijgen zoals het was? Stalin, die drie weken na Hitler zélf Polen was binnengevallen, mocht de door hem veroverde gebieden in Oost-Polen - in strijd met alle beloftes en charters! - behouden. De geallieerden hebben hem ook nooit de oorlog verklaard, zoals ze dat na de Duitse inval met Hitler deden...

Who Started WWII - Lecture by Victor Suvorov

De westerse media en opiniemakers doen niets anders dan dit spel van machtsevenwichten meespelen. Natuurlijk houden ze niet écht van Oekraïnse nationalisten, laat staan van primaire xenofobe boneheads (zoals die die in het oudere artikel hierboven werden opgevoerd). En natuurlijk houden ze ook niet écht van de islamistische 'haatbaarden' van Al Qaeda of Al Nusra in bijvoorbeeld Syrië. Het is dan ook niet slim om bijvoorbeeld over 'linkse' media te spreken en zich daarop blind te staren, zoals een nieuwskanaal dat zich ReAct (van reactionair?) noemt zo vaak doet. De houding van de media is 'dialectisch' net zoals de geopolitiek van het Westen en net zoals het liberalisme zelf: een spel van alles en zijn tegendeel. Van links én rechts dus, voor zover ze het stempel 'politiek-correct' hebben gekregen, d.w.z. de regels van het spel en de (onderliggende) waarden en denkbeelden van het liberalisme aanvaarden of gewoon (tijdelijk) bruikbaar zijn om een bepaald doel te bereiken (bijv. bepaalde jihadisten). De beste (geo)politieke 'strategen' zijn degenen die zich bewust zijn van het 'vloeibare' karakter van deze machtsstructuur en aldus (letterlijk en figuurlijk) een 'bewegingsoorlog' in plaats van een 'stellingenoorlog' kunnen voeren. Zodoende waren figuren als Kissinger of Brzezinski in staat om hun eigen (ideologische) tegenstanders in (tactische) medestanders te veranderen en hen als pionnen op een schaakbord vooruit te schuiven. Daarbij werden ze niet gehinderd door enige scrupules, in de veronderstelling dat ze die hebben natuurlijk...

Zbigniew Brzezinski to Jihadists: Your cause is right!

Hetzelfde perfide, 'anglofiele' en liberale Westen probeert de laatste jaren met alle mogelijke middelen (telegeleide 'burgerbewegingen', denktanks, lobby's, ngo's, massamedia enz.) onrust te stoken in de onderbuik en zelfs in het hart van Rusland. Het doel is daarbij vooral de onrust zélf, ook al hebben de liberale opiniemakers natuurlijk meer sympathie voor Femen (tegenwoordig gepatroneerd door de Oekraïnse 'filantroop' Vadim Rabinovitsj) en voor Pussy Riot dan voor etnische en religieuze separatisten, die evenzeer op tijd en stond vanuit het Westen werden en worden gesteund, en wel om het centrale gezag van Moskou te ondermijnen (bijv. American Committee for Peace in Chechnya). Als Russische nationalisten door Poetin vervolgd worden, krijgt dat echter véél minder weerklank. En toch, ook tijdens de betogingen tegen diens herverkiezing waren de zwart-geel-witte rijksvlaggen van de Russische (Slavische) nationalisten prominent in beeld. Ze hadden en hebben hun plaats in de 'bonte' oppositiecoalitie die zich toen rond voormalig schaakkampioen Gary Kasparov en vandaag vooral Alekseij Navalny geschaard heeft. Als etnische nationalisten hebben zij vooral een afkeer van het feit dat Rusland een Russische Federatie, m.a.w. een meervolkerenstaat is. Dat maakt hen op zijn minst tot een potentiële bondgenoot van de westerse strategen:

“To understand Russian nationalism, even racism, you need to realize that despite their political, cultural, and numerical dominance, many Russians see themselves a nation without a state,” Sean Guillory of the University of Pittsburgh's Center for Russian and Eastern European Studies wrote in The Nation.

Bron: The Kremlin Is Losing Control of the Nationalist Movement It Helped Create (The Atlantic, 8 november 2013)

De westerse geopolitiek bespeelt dus 'links' en 'rechts' om door het stoken van onrust 'pluralisme' (lees: verdeeldheid) ingang te doen vinden in relatief homogene samenlevingen, met relatief gesloten economieën en een relatief sterk centraal gezag. En dat pluralisme is uiteindelijk niets anders dan de voorbode van multiculturalisme en nationale desintegratie naar westers model. Het is een 'spel' van zaaien en oogsten. En de 'oogst' of, beter gezegd buit, die bestaat uit de onmetelijke bodemrijkdommen en staatseigendommen waar westerse bedrijven geen rechtstreekse toegang toe hebben. Op langere termijn hopen strategen als Brzezinski, die Anglo-Amerikaanse geopolitiek bedrijven naar het voorbeeld van Halford Mackinder, dat nergens in Eurazië een tegenmacht kan opstaan voor hun eigen neokoloniale, unipolaire wereldorde.

mercredi, 04 décembre 2013

QUAND LA CHINE VACILLERA, LE MONDE TREMBLERA

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QUAND LA CHINE VACILLERA, LE MONDE TREMBLERA

Le cauchemar écologique

Rémy Valat
Ex: http://metamag.fr

9782842802233.jpgChine : le cauchemar écologique est le titre du dernier ouvrage de Sébastien le Belzic, correspondant de presse en Chine et romancier (Le lotus et le dragon, éditions Zinedi, 2003). Ce livre a été écrit à partir des données et des enquêtes de terrain qu'il a pu effectuer sur place en contact des acteurs du drame écologique (militants d'ONG, victimes des pollutions).  Sur la forme, ce  livre de 109 pages est très agréable à lire et bien documenté, mais une bibliographie, même sommaire aurait été la bienvenue. L'auteur a pris soin d'intégrer des petits encarts récapitulant les points ou les chiffres clefs des phénomènes observés. Sébastien Le Belzic souhaite informer, alerter à partir des informations qu'il a pu collecter pour ses reportages.


Sur le fond, oui, la Chine, deuxième économie mondiale, est bien le premier pollueur de la planète. Ceci, on le savait déjà, mais Sébastien Le Belzic nous apporte des précisions, des faits concrets et des informations, souvent de première main, très inquiétantes sur les conditions sanitaires en Chine, mais aussi sur la résistance des populations aux abus des autorités. Les mouvements de contestation populaire sont importants, 500 manifestations quotidiennes, et ceci en dépit de la censure et des risques sur la personne. Les informations circulent via le réseau Twitter chinois, Weibo, facilitant ainsi l'organisation d'actes revendicatifs et l'information des ONG, chargée de la défense de l'environnement... ONG, qui nous paraissent, selon notre point de vue, remplir une mission ambiguë de protection de l'environnement et d'outils de dépréciation de l'image de la Chine au service des Ėtats-Unis, car la guerre économique fait rage entre les deux supers-grands : Ma Jun, d'abord journaliste d'investigation (donc un « opposant »), a été officiellement promu directeur de l'Institut des Affaires publiques et Environnementales, puis classé par la « voix de l'Amérique », The Times, parmi les 100 personnes les plus influentes du monde...  

Une résistance des plus légitime


On ne compte plus les villages aux populations ravagées par des épidémies de cancer (plus de 450) : statistiquement, les cancers du poumon ont augmenté de 645% ; une hausse de 98% des accidents industriels depuis 2010 dans une économie en surchauffe, au sein d'entreprises peu intéressées par les conditions de travail de ses ouvriers. 


L'auteur nous présente le cas des « ateliers de la sueur d'Apple » dans les maquiladoras chinois où règnent le travail des mineurs, les discriminations à l'embauche, les heures supplémentaires imposées et non payées, un taux de suicide record, les expositions aux produits chimiques... Sébastien le Belzic nous expose d'autres affaires, comme celles du lait contaminé et autres gourmandises empoisonnées qui ont mis un coup de projecteur sur la mauvaise qualité de certains produits chinois. Les « contrôles qualités » se sont renforcés, mais beaucoup de produits destinés à l'export ne quittent pas les usines ou restent à quai : 51% des aliments chinois ayant fait l'objet d'audits sont impropres à la consommation ou facteurs de risques sanitaires... Parmi les sujets les plus préoccupants : les biotechnologies. Outre les OGM, qui sont censées résoudre en partie les problèmes alimentaires du pays, les scientifiques chinois lorgnent du côté du clonage des embryons humains pour s'emparer du juteux marché des transplantations d'organes : le professeur de philosophie près l'Académie des Sciences sociales de Chine, Qiu Renzong aurait déclaré : « Selon la pensée confucianiste, une personne n'est considérée comme un être humain qu'après sa naissance. Les embryons et les fœtus ne sont donc pas des êtres humains (…) C'est la raison pour laquelle, il n'y a pas de problème pour les Chinois à détruire des embryons humains pour conduire les recherches sur les cellules souches ». Si Confucius l'a dit... La lecture de cet ouvrage ouvre de nombreuses pistes de réflexions dépassant le cadre, déjà catastrophique des problèmes sanitaires et environnementaux. J'en retiendrai deux. Tout d'abord, la montée d'une résistance citoyenne qui tôt ou tard va finir par prendre dessus : et, à ce moment-là, si la crise économique et sociale chinoise ne peut être canalisée, le vacillement chinois aura une répercussion planétaire (pensons aux risques de conflits avec les voisins asiatiques de la Chine, la fuite des bons du trésor chinois investis aux Ėtats-Unis, etc.). Enfin, si dans une perspective « plus heureuse » pour les Chinois, leur pays venait à se hisser à la tête des premières puissances économiques du monde, on peut s'interroger sur les valeurs offertes par ce nouveau modèle.... Un capitalisme pragmatique et sauvage, certes. Un idéal ? Une projet de société ? Probablement aucun.


Chine : le cauchemar écologique, de Sébastien Le Belzic, Editions SEPIA

Pressedienst - November 2013

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Pressedienst
November 2013
 
Wieder mal einige Links. Bei Interesse einfach anklicken...
 
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AUßENPOLITISCHES
 
Sparer im Griff des „Trio Eurofernale“
Wie das Kartell aus Politik, EZB und Banken nach unseren Ersparnissen greift
 
"Sparer-Steuer" ist Dynamit für deutsche Bürger
Ein Gedankenspiel des Internationalen Währungsfonds sollte die deutschen Sparer endlich aufwachen lassen: Mit einer Sonderabgabe könnten sie an der Lösung der Euro-Schuldenkrise beteiligt werden.
 
Irre IWF-Idee: Deutsche Sparer sollen ein Zehntel ihres Vermögens abgeben
 
Zwangsabgabe auf Vermögen
IWF will zehn Prozent auf alles
 
Straf-Zinsen für Sparer: Finanz-Eliten wollen Bargeld abschaffen
Die Niedrig-Zins-Politik der Zentralbanken ist gescheitert: Nun kursiert eine neue Idee, wie die Bürger gezwungen werden können, ihr Geld in den Konsum zu stecken: Die Zentral-Banken könnten Negativ-Zinsen einführen. Dies funktioniert nur in einer Gesellschaft ohne Bargeld. Der IWF fordert bereits seit Jahren die Abschaffung des Bargelds. Erste Staaten ergreifen Maßnahmen. In den USA hat nun Obama-Berater Larry Summers die neue Strategie angedeutet.
 
Das Ende der Mittelschicht: Der Wohlstand verabschiedet sich aus Europa
 
Steuerschock für Eigentümer von Immobilien in Griechenland
 
Absturz von Bankaktien: Finanzmärkte zittern vor Stresstest der EZB
 
Handelsbilanz
EU will Europa vor Deutschland schützen
 
Handelsüberschuss
Brüssel will Deutschland schwach sehen
 
EU fordert Ächtung von Plastiktüten
 
Totalausfall: Google verschwindet für vier Minuten aus dem Netz
 
Konkurrenz zu Bitcoin: Google will echte Bank werden
 
Malmström will Europol gegen Haßverbrechen einsetzen
 
Geheim-Bericht: Frankreich rechnet mit Unruhen
 
Europäische Rechtsparteien rücken zusammen
 
Bündnis gegen Europa
Le Pen und Wilders wollen das rechte Lager vereinen
 
Frankreich
Wütende Proteste in der Bretagne
(Man beachte auch die bretonischen Fahnen)
 
30.000 Bretonen protestierten gegen Pariser Regierung
 
Frankreich fürchtet die soziale Explosion
Noch nie war ein französisches Staatsoberhaupt so unbeliebt wie François Hollande. Nur jeder fünfte glaubt noch an den Präsidenten. Und die Proteste drohen sich zu einem Flächenbrand auszuweiten.
 
England: Ex-Innenminister warnt vor Rassenunruhen
 
Griechenland
Mitglieder der „Goldenen Morgenröte“ erschossen
 
Griechenland: Linksextremisten bekennen sich zu Morden
 
Heuchler, Netzwerker, Stichwortgeber – Mechanismen des medialen Furors gegen Ungarn
 
Amerika-Hass macht‘s möglich
Frank-Furter Schnauze: Im Fall Edward Snowden offenbart die deutsche Linke einmal mehr ihr wahres Gesicht
 
"Privatsphäre gibt es nicht"
Der Historiker Walter Laqueur über das Modewort Geopolitik, Football und die große Unordnung nach dem Kalten Krieg
 
Debatte USA und Überwachung
Amis völlig paranoid
Die USA sollten ihr Sicherheitskonzept überdenken. Die Amerikaner sind von Furcht getrieben. Aber Angst ist ein Arschloch.
 
Whistleblower Edward Snowden
Auslieferung als Schicksal
 
Auch Großbritannien hört Berlin ab
 
Big Brother am Flughafen Frankfurt
US-Fahnder entscheiden, wer fliegen darf
 
(Neue Überwachung?)
Neues Verfahren
Paypal lässt mit dem Gesicht bezahlen
 
Österreich
Kritiker in der Polizei unerwünscht: Roter Pürstl suspendiert Aufdecker
 
Malta verkauft Staatsbürgerschaft für 650.000 Euro
 
(Waffenlieferungen an Salafisten in Syrien)
Türkei in Waffenlieferung verstrickt
 
Japan steuert auf den Untergang zu
 
Vietnam führt Todes-Strafe für Banker ein
 
INNENPOLITISCHES / GESELLSCHAFT / VERGANGENHEITSPOLITIK
 
Habemus Regierungsprogramm!
 
Bettina Röhl direkt
Das fatale Menschenbild der Großen Koalition in spe
Kolumne von Bettina Röhl
Weder Union noch SPD bieten ein eigenes Menschen- und Weltbild an. Das entstandene Vakuum wird immer aggressiver von selbst ernannten, staatlich alimentierten Rassismusforschern aufgefüllt. 
 
Gabriel contra Slomka im „heute-journal“
Paranoid, enttäuscht, hilflos
Inhaltlich gab das Wortgefecht zwischen SPD-Chef Gabriel und ZDF-Moderatorin Slomka wenig her. Psychologisch umso mehr.
 
Einigung bei Koalitionsverhandlungen
Union und SPD wollen Mieten bremsen
 
SPD fordert Sondersteuer auf ungesundes Essen
 
Bonner Stadthaushalt muss Notstandsverwaltung ausrufen
 
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Kein Geld mehr für Instandsetzung
 
Erfrischend einfach erklärt: deutscher Umverteilungswahnsinn in Kurzfassung
 
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AfD-Chef Lucke zettelt Islam-Debatte an
 
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Deutscher EU-Vizepräsident hat gelogen
Bei Todescrash hatte Alvaro (FDP) Koks im Blut
 
(Politische Beeinflussung auf dem Wahlzettel…)
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Die NSA und ... Hitler
 
(US-Spionagestandorte in Deutschland)
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Das Verrückte an der NSA mit Volker Pispers
 
(Geschichtspädagogik für Kleinkinder)
Raus aus der Geschichte, rein in den Whirlpool!
 
Bundespräsident Gauck: “Wir wollen ein Land sein, das offen ist”
 
 (Gauck zum 9. November)
Gelungene Propaganda
 
Gauck und Kramer
Diese Botschaft kam rüber
 
Obama erinnert an Reichspogromnacht vor 75 Jahren
 
„Romantische Kristall Nacht“ am 9. November bringt Therme in Kritik
 
Priebke auf Gefängnisfriedhof begraben
 
(1. Weltkrieg und Versailles)
Ein Appell an das Gewissen
 
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General Karl von Einem: Streit um Straßenumbenennung
 
Das Denkmal von Sedan
von Dieter Stein
 
Erster Weltkrieg
Deutschland hat die Toten von Sedan vergessen
Im französischen Sedan lag einer der größten deutschen Soldatenfriedhöfe von 1914-18. Heute verfällt dort alles. Die Regierung in Berlin fühlt sich für die Pflege der Monumente nicht zuständig.
 
Christopher Clark
"Besessen von der deutschen Kriegsschuld"
Mit seinen neuen Thesen zum Kriegsausbruch 1914 provoziert der britische Historiker Christopher Clark heftige Debatten. In Potsdam stellte er sich seinen Kritikern – mit erstaunlichem Ergebnis.
 
LINKE / KAMPF GEGEN RECHTS / ANTIFASCHISMUS / RECHTE
 
Linksextremismus im Spiegel von Wissenschaft und Publizistik
 
(Meinungen eines Altsozialisten)
Expandierender Suppenküchenstaat
Armutsforscher C. Butterwegge erzählt von der Umwandlung des Sozialstaats
 
"Die heutige Antifa würde auf den Willy Brandt von 1972 mit Eiern werfen!"
 
Stuttgart
Linksextremisten verwüsten “DDR”-Ausstellung
 
Stuttgart: Ver.di-Funktionärin Ariane Raad an Erstürmung DDR-kritischer Ausstellung beteiligt?
 
(DDR-Nostalgiker)
7. Oktober 2012 - Wir denken an unsere DDR in der kalten BRD
(am Ende singt er ein kommunistisches Liedchen, lustig…)
 
Brandenburgs Innenminister warnt vor Roter Hilfe
 
Totalitäre Moderne: “Gruppenbezogene Menschenfeindlichkeit” und die “Uni ohne Vorurteile”
 
Bizarre Enthüllungen
Verdächtige im Londoner Sklaven-Fall waren wohl Maoisten
 
Festgenommener Schütze in Paris: Rückkehr eines Phantoms
 
Pariser Attentäter wirft Medien Manipulation vor
 
Blockupy
Von Beruf Demonstrant
 
Gastwirte – Offensive im Kampf gegen Rechts™
 
Hessisches Sozialministerium friert Burg Ludwigstein sämtliche Fördermittel ein
 
Eklat um rechte Umtriebe auf Burg Ludwigstein
 
Dokumentation hegt Zweifel an Selbstmord von Mundlos und Böhnhardt
 
(Denunzianten)
Universität Rostock verurteilt Anprangerung von Dozenten
 
SPD verschärft Kampf gegen Burschenschaften
 
Volkstrauertag
Burschenschaft von Gedenkfeier ausgeladen
 
("…nicht rechts, sondern südlich…" Na ja, hilfloser kann man ja gar nicht mehr den Kopf aus der Schlinge zu ziehen versuchen)
„Die Vorwürfe sind Unsinn“
Eigentlich wollte die Münchner Burschenschaft Cimbria auch wie immer an der offiziellen Feier zum Volkstrauertag in der bayerischen Landeshauptstadt teilnehmen. Doch nach einem Artikel in der Süddeutschen Zeitung über angebliche rechte Tendenzen der Studentenverbindung folgte die Ausladung durch das bayerische Innenministerium. Gegenüber der JUNGEN FREIHEIT weist Matthias Reiter von der Burschenschaft Cimbria die Vorwürfe zurück.
 
Gedenken, vergattert
 
Deutsche Burschenschaft ausgeladen: FPÖ übt heftige Kritik
 
Volkstrauertag
Rechter Aufmarsch am Kriegerdenkmal
 
„Wir gedenken der Opfer und nicht der Täter“
Wunsiedel protestiert gegen Neonazi-Aufmarsch
 
Die Früchte der Medienhetze: Denkmal am Innsbrucker Friedhof geschändet
 
Nach Drohungen: Frei.Wild-Auftritt in Jena abgesagt
 
(Antifa-Störungen)
2. Compact-Konferenz in Leipzig – Erfahrungsbericht
 
Bundesverfassungsgericht
NPD bekommt kein Geld mehr vom Staat
 
("Antifaschistisches" Denken)
siamo tutti antifascisti?
Ich habe heute Folgendes getwittert:
“Es wird nicht besser, solange die “bürgerliche Mitte” Nazis zwar doof findet, aber gleichzeitig gegen Linke/Antifa hetzt.”….
 
Polizei verbietet Pro-NRW-Demonstration am 9. November
 
Scheiben mit Stolpersteinen eingeschlagen
Vermutlich rechtsorientierte Täter haben mit zwei Stolpersteinen Fenster des Rathauses von Seeheim-Jugenheim in Südhessen eingeschlagen.
 
Terrorismus
Freispruch im Mordprozess um Opec-Anschlag
Sonja Suder ist vom Vorwurf der Mittäterschaft beim Anschlag auf die Opec-Konferenz 1975 in Wien entlastet worden. Das Gericht sprach von einer „ungeheuer beschwerlichen Sachaufklärung“.
 
Bayern: Innenminister entsetzt über linke Gewaltbereitschaft
 
EINWANDERUNG / MULTIKULTURELLE GESELLSCHAFT
 
Zehn Thesen zur deutschen Asylpolitik
 
Nein, muß ich nicht: Identitäre Kundgebung gegen Morten Kjaerum in Wien
 
Kundgebung: Festung Europa!
Von Identitäre Bewegung Wien
 
(Antideutsche linke Einwanderungslobby)
Refugee Tribunal against Germany
 
Chaos und Gewalt an Berliner Asylanten-Schule
 
Krefeld
Kirche will Initiative für Flüchtlinge ergreifen
 
Christlich-subversive Aktion in Speyer
 
Friedrich für mehr syrische Asylbewerber
 
Niedersachsen streicht den Begriff „Integration“
 
Teilhabe statt Integration
 
(Doppelte Staatsbürgerschaft)
Warum keine doppelte Parteimitgliedschaft?
 
Bitte um Unterstützung
Einwanderung: Offenbach ruft um Hilfe
 
Kabeldiebe räumen Asylbewerberheim aus
 
Berlin: Asylcamp-Bewohner drohen der Polizei mit Gewalt
 
Romani Rose empört über Berichterstattung
 
Homosexualität als Asylgrund anerkannt
 
EU empört über Camerons Sozialhilfepläne für Ausländer
 
Linkspartei gegen Sankt-Martins-Feiern in Kindergärten
 
Heftiger Streit um einen alten Brauch
Angriff auf Sankt Martin
 
(Kommentar dazu)
Streit um Sankt-Martins-Umzug
Kommentar: Sein Mantel wärmt jeden
(Der Leserkommentar zeigt die Richtung)
 
Identitäre Aktion: St. Martin bleibt!
 
Angst vor Islamisten: Streit um Aktbilder in Berlin
 
Aldi-Filiale soll ausländisch aussehende Kunden überwachen
 
100 Kamele sind der Preis für einen Berliner Toten
In muslimisch dominierten Einwanderervierteln Deutschlands ist eine Paralleljustiz in der Tradition der Scharia entstanden. Der Staat scheint vor der Macht der arabischen Clans zu kapitulieren.
 
Vom Frankfurter Schulhof in den Dschihad nach Syrien
Einige hinterlassen nicht mal einen Gruß an die Eltern: Immer mehr junge Männer aus Hessen lassen sich für den syrischen Bürgerkrieg rekrutieren. Minister Rhein will die Anwerbung stoppen.
 
Polizei Oslo: „Wir haben die Stadt verloren“
 
Er war Asylbewerber
Blutbad in Norwegen: Mutmaßlicher Täter stand vor Abschiebung
 
(älter, aber stets aktuell…)
Repotage: Deutsche wird von Farbigen vergewaltigt und wählt Freitod. Vergewaltiger: Freispurch
 
80 Prozent der Intensivtäter haben nichtdeutsche Wurzeln
 
(dazu)
Rückkehr der Deutschenfeindlichkeit
 
(Hintergründe wären vielleicht interessant)
Toulouse
Zigarettenschnorrer stürzen Frau in Fluss
 
KULTUR / UMWELT / ZEITGEIST / SONSTIGES
 
Amerikas Malls sehen jetzt aus wie Europas Städte
Nachdem die Einkaufscenter den Einzelhandel aus den Städten verdrängten, machte ihnen der Online-Handel Konkurrenz. Amerikanische Malls sehen ihre Rettung nun im Prinzip der alteuropäischen Stadt.
 
Die Rückkehr der Mietskaserne
Städter mögen Altbauwohnungen in Blockrand-Quartieren. Doch seit 100 Jahren baut sie keiner mehr: Die Geschichte einer verpönten Stadtform und warum ihr in Zürich eine Renaissance bevorsteht.
 
(Investorenarchitektur)
München verschwindet
 
Tristess am Goetheplatz
Die Globalisierung fordert ihren architektonischen Tribut, und man muss noch froh sein
 
Foro Mussolini, Foro Italico (Faschistische Architektur in Rom)
 
Nazi-Raubkunst in München
Unbekannte Meisterwerke von Dix und Chagall entdeckt
 
(Zum Fall des Kunstsammlers Gurlitt)
Fafner in Schwabing
 
Bilder-Rückgabe ein "Schnellschuss"
Fall Gurlitt: Kritik vom Zentralrat der Juden
 
„1938. Kunst, Künstler, Politik“ im Jüdischen Museum
Tiefe Zäsur im Kunstbetrieb
 
Kunstraub mal anders
 
Fall Gurlitt
Vergiftetes Klima
 
Haftuniform, Davidstern, Zahnbürsten
Ebay stoppt Auktionen mit KZ-Kleidung
 
Australien: Ärger wegen Hindu-Göttern auf Bierflaschen
 
Willkommen in der Neuprech-Diktatur
 
Deutschland, ein Bildungsmärchen: Fack ju Göhte!
 
Hamburg: Männerquote sorgt für Empörung bei Frauenbeauftragten
 
Das Dinosaurier-Problem
Eine neue Studie enthüllt, was der politische und publizistische Mainstream nicht wahrhaben will: Junge Frauen haben durchaus Lust auf die traditionelle Rollenverteilung in der Familie. Ernst nimmt sie aber leider niemand.
 
Von der Leyens Traum ist geplatzt
 
Fragen Sie Frau Sibylle: Macht mit, solange es noch geht!
Eine Kolumne von Sibylle Berg
Generelle Verblödung? Allgemeine Gentrifizierung? Untergang des Abendlands? Mag sein. Aber es hat keinen Sinn, sich darüber aufzuregen: Kulturpessimismus ist keine Antwort auf die Veränderung der Welt, sondern das Jammern Sterbender.
 
Kein Jammern bei Sibylle Berg
 
 
S.P.O.N. - Fragen Sie Frau Sibylle: Eure Welt gibt es nicht mehr
Eine Kolumne von Sibylle Berg
Ihr glaubt an die deutsche Leitkultur: Deutschland der deutschen Frau, dem deutschen Herd, dem deutschen Mann, dem Herrscher und Ernährer, der deutschen im Haus erzogenen Kinderschar. Was wollt ihr? Woran klammert ihr euch so verbissen?
 
(Finanzwelt)
Doku "Master of the Universe" im Kino
Bedingungslose Loyalität
 
In der Transparenzfalle
Vergebene Weckrufe
Die Leute wollen sich über den NSA-Skandal einfach nicht so recht empören. Woran könnte das liegen?
 
China
Comeback der vegetarischen Küche
 
(Ein Erfahrungsbericht und eine Weltsicht…)
Den Heizölverbrauch senken – auf die japanische Art
 
Bedeutungsverlust des „Spiegel“
Genug der Dickhodigkeit
Deutsche Bahn
Behörde verbietet nächtlichen Drohnen-Einsatz gegen Sprayer
Die Deutsche Bahn hat einem Bericht zufolge keine Flugerlaubnis für Drohnen bekommen, die nachts gegen Graffiti-Sprüher zum Einsatz kommen sollten. Die Flugapparate dürften nur tagsüber benutzt werden.
 
(Woodrow Wilson)
Die Dummheit der Regierenden
 
Umweltbundesamt beklagt massenhaften Kauf von Billigprodukten
 
(Roman von Björn Clemens)
Ein Kölner Justiz-, Migrations- und Klüngelroman
 
Telesma Verlag – Belletristik
 
edition nordost auf Youtube!
 
Manuel Ochsenreiter – Journalist – Blog
 
Neue Burschenschaft?
 
Eckhart Tolle - Hass-Liebe-Beziehungen
 
Eckhart Tolle Schmerzkörper 1
 
Eckhart Tolle EGO
 
Rechtsstreit mit Comedian Atze Schröder
Urteil: Niemand darf Fritz Wepper „Lustgreis“ nennen
 
("The Act of Killing" über einstige Morde in Indonesien)
Im Kino
Ohne Scham oder Reue
 

La politique étrangère fabusienne

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LA POLITIQUE ETRANGERE FABUSIENNE
 
Comprendre Genève avant tout

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr
 
Avec le remplacement de Chirac par Sarkozy puis de Sarkozy par Hollande, la politique internationale française est devenue de plus en plus néo-atlantiste. Par l'élimination quasi complète de ce qui restait des gaullistes (voir le pathétique et solitaire Dupont-Aignan lançant sa campagne européenne devant une croix de Lorraine fissurée à Colombey-les-Deux-Eglises !) et des Républicains nationaux (les chevènementistes du CERES migrant en masse au Fn) la politique étrangère de la France a été modifiée.
 
Du pays européen le plus indépendant, la France est devenue le pays le plus béni oui-oui aux sirènes des faucons atlantistes. C'est en fait la question principale des Solfériniens qui mériterait à elle-seule une thèse, une analyse fouillée, une généalogie politique détaillée depuis la nomination de Laurent Fabius au gouvernement Mitterrand. Il y eut sous François Mitterrand une conjonction habilement ficelée entre une « gauche » laïque pour l'essentiel très remontée contre l'Iran pour les raisons habituelles d’anti-religion ( le droit des femmes, des homos, et les prières quotidiennes) et un antifascisme instrumentalisé à une autre échelle par les sempiternels rappels sur l'Holocauste, de sorte qu'aucune opposition sérieuse à cette conception de la politique internationale solférienne n’est venue agiter, se solidifier ou interroger les assises socialistes du militant de base
Ainsi, tous les ingrédients idéologiques ont, peu à peu, été placés, à gauche comme à droite, pour, à la fois, attaquer la Libye, la Syrie et envisager l’idée terrible d’une attaque nucléaire préventive sur l'Iran c’est-à-dire suivre à la lettre la feuille de route établie depuis les années 80 par les stratèges et les faucons de Tel-Aviv. Cela a été suffisant pour neutraliser une grande partie du gaullisme politique de la droite de gouvernement comme le républicanisme de la « gauche » française anti-américaine. L'idéologie dominante des droits de l'homme (Bernard Kouchner et les french doctors à gauche, Bernard Henri-Lévy et la guerre juste de la droite libérale) a ensuite légitimé le droit d'intervention n'importe où et à tout moment pour des raisons humanistes mais toujours bien ciblées. Cette idéologie solférienne a réussi en grande partie à faire passer à la trappe la question secondaire du droit international et des négociations de paix.
 
Il y a peut-être derrière une telle attitude la crainte d'un antisémitisme français. Une telle phobie n’a jamais été celui de l’antisémitisme d’une extrême-droite réduite à de vagues groupuscules divisés, plutôt paranoïaques et bien surveillés mais la crainte du développement d’un antisémitisme français musulman, islamique, de banlieue. En fait, l’alliance avec les Saoud et les Qataris permettaient de calmer les banlieues, de marginaliser le chiisme français en construisant des mosquées sunnites sous contrôle. C’est pour cela que la classe politique française n’a pu s'opposer, comme elle aurait dû le faire, à la construction excessive des mosquées ou à l’argent déversé par les Saoudiens et les Qataris dans les quartiers difficiles. Anesthésiée mais surtout indifférente aux questions internationales la population ne s’est pas inquiétée plus que cela. Elle y a vu l’effet du « grand remplacement » or c'était beaucoup plus. Il y avait bien derrière les emprunts financiers aux pays du Golfe et les constructions de mosquée payées par l’Arabie saoudite, une tactique diplomatique occultée.
 
L’histoire va toujours trop vite et les Français n’ont peut-être pas suivi totalement le déroulement du film. Les Anglo-saxons sont acculés par la faiblesse monétaire des Etats-Unis mais aussi par le nouveau pivot stratégique dans le Pacifique, à lâcher, à plus ou moins long terme, Israël.
 
La diplomatie française a accusé le secrétaire d’Etat américain, John Kerry, d’être responsable du virage pris par les Etats-Unis concernant l'Iran. Ce dernier souhaitait un accord à tout prix, pour des raisons personnelles et aussi de politique intérieure américaine, c’est en tout cas ce qu’a souligné Laurent Fabius en critiquant ouvertement son confrère américain. Il y a, depuis un an et demi, une nouvelle donne de la politique internationale américaine et Laurent Fabius la connaît très bien. Or, il appartient à une diplomatie française responsable d’en tenir compte et de l’analyser.
 
Les Américains ne s’attendaient pas à une telle obstruction française dans les négociations de paix avec l’Iran. Laura Rozen, analyste américaine, cite sur son blog une déclaration du directeur politique du Quai d’Orsay, Jacques Audibert, qui aurait assuré les Américains, il y a plusieurs mois, que la France « ne s’opposerait pas à un accord si la possibilité se présentait, malgré la ligne dure des derniers mois ». 

Pour qui travaille Fabius ? Pour la diplomatie française ou pour d’autres intérêts ? La question incongrue est d’ailleurs ouvertement posée dans les journaux anglo-saxons dont le Guardian en particulier toujours très indépendant et critique . Laurent Fabius n’a jamais caché qu’il souhaitait la guerre avec l’Iran. L'administration de Fabius est en train de laisser la place de la France vacante dans la recomposition en cours du monde, une France qui sera ainsi demain coupée de la désaméricanisation du monde. Les conséquences désastreuses d’un tel choix politique se feront très vite sentir.  

mardi, 03 décembre 2013

S'ajuster à l'inhumaine globalisation

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S’AJUSTER A L’INHUMAINE GLOBALISATION

L’exemple franco-mexicain

Auran Derien
Ex: http://metamag.fr

La France et le Mexique, ont inauguré un Conseil Stratégique pour mieux coordonner leurs actions. François Hollande ira donc au Mexique en 2014 pour connaître les propositions de ce Conseil. Le Mexique est membre des organisations G20, OMC, Alliance du pacifique, OCDE. Il est surtout intégré aux intérêts étatsuniens par le traité de Libre Commerce d’Amérique du Nord (TLCAN). La France, elle, est dirigée par les fonctionnaires bruxellois. Le terrain de chasse de la globalisation s’étendra du Canada à l’Amérique Centrale puis, à travers l’Océan, jusqu’à l’Europe - ou ce qu’il en reste -  car le pillage et le génocide y sont déjà bien avancés. Les ministres respectifs se flattent de pouvoir affirmer que leurs zones sont les plus attractives pour les investissements étrangers, à savoir les multinationales qui portent atteinte à l’humanité par leurs produits mortifères, leurs destructions environnementales, l’esclavage au profit des actionnaires. Les chiens de garde affirment que le pillage, le vol et l’exploitation de ces multinationales seront protégés par le climat sûr et de confiance que leurs partenaires médiatiques savent créer. 

La stratégie mondialiste : Marchés et techniques, normes et prédication


Lors de la session qui vient de se terminer à Paris, les membres du Conseil Stratégique ont présenté leurs premières réflexions sur trois secteurs : l’aéronautique, l’énergie et les télécommunications. Ils ont évoqué les thèmes du développement durable pour les villes (transport, eau, énergie), la santé (lutte contre la malnutrition, l’obésité et le diabète) mais aussi la formation et la culture (expositions, promotion conjointe de la diversité culturelle). On se souviendra qu’il s’agit de points complémentaires à ceux que l’empire du néant privilégie.


La stratégie globalitaire promeut trois axes en interaction constante: la puissance militaire de l’OTAN, qui éradique toutes les défenses “nationales”, les absorbe et les met au service de la criminalité occidentale. La stratégie économique, qui consiste à contrôler les technologies de pointe - surtout celles qui tuent et mettent en esclavage - et à conquérir des marchés émergents. La stratégie culturelle vise a dominer les canaux de diffusion et les contenus car la vérité révélée, et toute la nigologie pieuse du pouvoir globalitaire sont déclarées saintes et sublimes, de droit divin. Or, Mexico est un marché émergent que les étatsuniens veulent se réserver alors que les grandes entreprises françaises sont désormais entre les mains de fonds financiers qui les ont placées sous tutelle, de façon irréversible. Il convient que la France et le Mexique négocient bilatéralement les miettes qu’on les autorise à produire, afin que les actionnaires des fonds financiers perçoivent leurs 15% de gains pendant que les salariés retombent dans la pauvreté. Les technologies où l’empire du néant veut dominer sont au nombre de six: celles qui s’intéressent au milieu ; l’information-propagande ; la santé ; les transports ; l’énergie ; les services financiers. Pour cela, tant le diktat transatlantique que le TLCAN détruisent l’organisation qui permettait à chaque pays de bénéficier de frontières où chacun était respecté dignement en tant qu’être humain. A la place sont promus l’espionnage, le mensonge financier et médiatique, la haine de l’humanité lorsqu’elle n’appartient pas à la caste des trafiquants véreux. Les domestiques de cette caste immonde doivent s’assurer que leurs normes ne soient pas distinctes et copient celles de l’oligarchie kleptocratique. 

L’horreur à venir


Le plan Mexique 2030 a été signé par le Président précédent (Calderon). Il confie au Mexique la production de matières premières (or, argent, pétrole) et accepte les OGM. Les USA fournissent les produits industriels. Les multinationales ont toute liberté pour agresser les populations car les droits des mexicains comme peuple sont sans valeur. Ce projet, comme les fers transatlantiques, affirme que l’armée et la marine doivent participer aux conflits internationaux. L’installation de bases militaires au service des néantologues, déjà réalisée en Europe depuis des années, deviendra effective au Mexique. Les dirigeants à la tête des USA, répètent depuis 2010 que la Chine et l’Inde, la Russie et l’Iran sont des menaces. L’un des buts essentiels est d’obtenir de l’Europe et du Mexique que leurs forces,soient autorisées à intervenir dans n’importe quelle situation, sans informer le Parlement ni même l’exécutif de ces pays. Participer à la guerre mondiale contre le terrorisme, est la dernière version du logiciel obscurantiste qui fait fonctionner ces primates anthropoides. Ils  inventent une hérésie  - le racisme, le fascisme, le terrorisme - et accuse d’hérésie tout groupe qui ne se prosterne pas assez vite ni assez fréquemment… 

Requiem pour une civilisation défunte


En Europe, le redéploiement des troupes a été favorisé par les domestiques de la Commission Européenne mais aussi par les dirigeants placés à la tête des Etats. L’Union Européenne est au service de la tyrannie globalitaire et détruit tout germe de civilisation. Dans les pays de l’Est, dans les pays arabes, les esclaves européens sont au service du pouvoir infâme. Javier Solana a favorisé la mainmise de l’OTAN sur l’Europe et a permis que celle-ci soit au service des trafiquants de drogue en Afghanistan, ainsi qu’au Soudan. Manuel Barroso a commencé dès sa nomination à transmettre tout le pouvoir aux multinationales. La directive Bolkenstein qui, en 2004, a prévu l’accaparement de tous les services possibles et imaginables par des multinationales, entre en harmonie, pour l’essentiel, avec le traité qui régente l’Amérique du Nord et va digérer l’Europe. Partout, la même uniformité obscurantiste, la même dogmatique têtue, la même corruption. Ces fausses élites, descendues du trottoir pour tenir le haut du pavé sont à refouler dans les égouts.  

lundi, 02 décembre 2013

Tajikistan remains of highest strategic value for Russia and India

Tajikistan remains of highest strategic value for Russia and India

 

Relations with Russia are of a dual nature, although it is believed that Tajikistan is one of the main allies in the region. Photo: Tajik President Emomali Rahmon (L) and Vladimir Putin. Source: Olesya Kurlyaeva/RG

Few were surprised that acting head of the state President Emomali Rahmon won the Tajikistan presidential elections with 83.6 percent of the votes. Experts believe that the courses taken by Emomali Rahmon in the last ten years will continue. This means that the coming years will be very difficult for both the president and his country.

A complete economic collapse in Tajikistan and instability in the neighboring Afghanistan, which the U.S. military will partially vacate next year, may lead to internal disturbances in the republic. To keep the situation under control Rahmon is trying to follow a multi-vector foreign policy, relying, in extreme cases, for outside help.

Relations with Russia are of a dual nature, although it is believed that Tajikistan is one of the main allies in the region. The republic accommodates the 201st Russian military base, which will remain there until 2042 according to the agreement. However, the ratification of the relevant treaty was delayed by the parliament, controlled by Rahmon for a whole year. All this time, Tajikistan extracted various concessions out of Russia.

The Ayni conondrum

Rahmon promised to rent out the Ayni military airfield near the Tajik capital to India, Russia and the US. All three countries are interested in obtaining the lease of the site. However, the president’s "multi-vector" policy complicated the situation so much that now the potential tenants are unclear about the status of the base.

India spent a significant amount of money over the last decade developing Ayni, hoping that it would be a major base for the strategically important region. New Delhi is very serious on the Ayni air base project to gain a strategic foothold in Central Asia and improve its C3I (Command, Control, Communications and Intelligence) network to fortify its operations in Afghanistan and keep a close eye on Pakistan. India has however met with Russian resistance as Moscow has been unrelenting in its stand that it doesn’t want foreign powers to deploy fighter aircraft in its backyard and a former territory.

Ayni Air Force Base, also known as Gissar Air Base, is a military air base in Tajikistan, just 10 km west of the capital Dushanbe, which served as a major military base of the Soviet Union in the Cold War era.

The situation with Ayni shows that Tajikistan is not really in position to sign a consistent and binding agreement and that Dushanbe may be left with nothing.  “Rahmon will seek preferences in the supply of arms in lieu of renting out the base,” says Azhdar Kurtov, an expert of the Russian Institute of Strategic Studies.

Dushanbe’s bargaining chips

In exchange for the ratification of the agreement on the 201st Russian military base, Moscow promised to expand a free education program in Russian military academies for citizens of Tajikistan and to provide $200 million worth of arms to the republic. In addition, Moscow has modified work permit laws for citizens of Tajikistan, allowing them to work in Russia for up to 3 years. This is relevant for Dushanbe - according to the Russian Federal Migration Service there are more than 1.2 million citizens of Tajikistan in Russia, who this year alone remitted $3.5 billion to their home country.

However, even such a dangerous dependence on Moscow does not discourage Dushanbe from demonstrating its activity in relation to other countries. For example, until recently it seemed that the US was paying considerable attention to Tajikistan. For a while, the United States and NATO were sizing the option to withdraw troops from Afghanistan via Tajikistan, but Pakistan’s conditions regarding this issue were far more suitable for the West.

Such behaviour periodically makes experts say that Tajikistan is slipping away from Russia’s influence to China, India, Iran, or even the United States. Elena Kuzmina, Manager of the Sector for Economic Development at the Institute of the economy of post-Soviet states recognizes that in the past two years, in fact, it was China that has become a major trading partner and investor in Tajikistan. Russia is only in the second place. Chinese investment accounted for 40 percent of total investments in the Tajik economy. In addition, China provides grants for the construction of infrastructure projects. With the support of the Celestial Empire, Tajikistan was able to implement large-scale projects in the energy and communication sectors.

“It would still be improper to say that Tajikistan is moving away from Russia,” says Kuzmina. There is cooperation between Moscow and Dushanbe in many areas. According to Kuzmina, it would be more accurate to say that Tajikistan has expanded the scope of its economic interests, and will continue to try to expand and diversify its cooperation with various countries.

Azhdar Kurtov also believes that there will be no sharp geopolitical fluctuations, not to mention a change of Dushanbe’s main external partner. “The republic has no oil or gas and because of the high-altitude terrain, production of other resources is more expensive.  Its geographical location does not allow the deployment of a large-scale construction, including, for example, transport communications, which Tajikistan has pinned high hopes on. Attempts to refocus on Iran by creating a union of three Persian-speaking countries (Tajikistan, Iran and Afghanistan), were not successful, “Kurtov said.

L’Océan Pacifique est-il devenu radioactif ?

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APRES FUKUSHIMA…

L’Océan Pacifique est-il devenu radioactif ?

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr
Il faut de l’abnégation et chercher l’information pour entendre parler de Fukushima. Or on apprend assez vite que de l’eau hautement radioactive en provenance des ruines de la centrale de Fukushima se déverserait toujours dans l’océan Pacifique, créant un état d’urgence sanitaire difficilement maîtrisable selon les propres dires d’un responsable de l’agence industrielle Tepco, en charge de la gestion des équipements nucléaires japonais. 

Le problème aurait deux sources : l’eau souterraine contaminée et l’eau stockée dans des réservoirs dont une partie s’écoulerait, suite à des fuites. 300 tonnes d’eau contaminée aurait ainsi déjà atteint la mer, a reconnu Tepco au mois d’Août dernier. Mais les autorités japonaises continuent de nier et affirment que l’Océan Pacifique n’a jamais été atteint ou que le total cumulé d’éléments radioactifs s’écoulant en mer s’inscrirait dans des limites légales et autorisées pour la santé. Qui croire ? Les déclarations ou les cartes de radioactivité des chercheurs indépendants ?
 
Des mesures de contention ont été prises, tel qu’un système de décontamination prévu pour traiter 500 tonnes d’eau par jour ou encore le pompage de l’eau avant qu’elle n’atteigne la mer et enfin, la construction d’une barrière sous-marine qui a débutée en mai 2012 et qui sera achevée en septembre 2014. 

Toutes ces mesures reconnaissent donc bien que le système de décontamination existant n’est pas complètement opérationnel et qu’en tout cas, il est nécessaire. En outre, le chef de l’Autorité de sûreté nucléaire japonaise a déclaré en octobre qu’une brèche avait été détectée dans une barrière souterraine laissant émerger de l’eau contaminée dans des quantités supérieures à la radioactivité légalement admise. 

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Tepco a répliqué aussitôt en indiquant : “Nous ne savons toujours pas pourquoi le niveau de radiation a bondi, mais nous poursuivons les efforts pour éviter une nouvelle expansion de la contamination”. S’il a souvent été reproché aux autorités japonaises une certaine opacité sur la question, des chercheurs indépendants souvent américains ou canadiens se penchent régulièrement sur le sujet et leurs estimations sont alarmantes. Ce seraient des quantités extrêmement dangereuses de strontium, tritium et césium qui se seraient échappés de Fukushima pour se déverser dans tout l’Hémisphère Nord portés par les courants, la pluie et le vent. 

Face aux derniers aveux de Tepco, les risques semblent bien tangibles et s’étendraient, selon les spécialistes, sur toute la côte ouest des Etats-Unis et cette pollution radioactive pourrait potentiellement affecter la vie marine et la santé de millions de personnes vivant dans l’hémisphère nord au bord des côtes du Pacifique. 

Ce que craignent surtout les spécialistes, c’est un nouveau séisme, un de ces tremblements de terre dévastateurs dont le Japon est coutumier. La revue “The New Scientist” a tenu à préciser que la centrale nucléaire de Fukushima contenait à l’origine 1760 tonnes de matières nucléaires alors que Tchernobyl en contenait 180. Mais vous l’aurez noté, on parle beaucoup moins de Fukushima en France malgré la Polynésie française toute proche. 

dimanche, 01 décembre 2013

Ungarn wie einst Österreich gemobbt

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Ungarn wie einst Österreich gemobbt

Regierungschef Viktor Orbán gilt als undemokratisch, dabei ist er vor allem unkonventionell

Rainer Liesing

Ex: http://www.preussisch-allgemeine.de

Mit unkonventionellen Mitteln bricht der nationalkonservative Regierungschef Viktor Orbán postkommunistisch-oligarchische Strukturen auf und reformiert das von den Sozialisten an den Rand des wirtschaftlichen Kollapses geführte Land. Hierbei macht er sich viele Feinde, vor allem im Westen.

Ungarn ist in den Augen Gordon Bajnais, Chef der linken Plattform „Gemeinsam“ (Együtt), „kein normaler prosperierender europäischer Staat“. An dieser Feststellung ist kaum etwas auszusetzen. Bajnai hätte nur auch dazu sagen sollen, dass er als Minister im Kabinett des Sozialisten Ferenc Gyurcsány (Ministerpräsident von 2004 bis 2009) am wirtschaftlichen Niedergang seines nach dem kommunistischen Systemkollaps einen Spitzenplatz unter allen vormaligen Ostblock-Staaten einnehmenden Landes kräftig mitgewirkt hat. Und obwohl er als Kurzzeit-Regierungschef (2009–2010) erste Reformschritte einzuleiten versuchte, konnte Ungarns Staatsbankrott nur durch einen von ihm aufgenommenen Milliardenkredit des Internationalen Währungsfonds (IWF) verhindert werden. Diesen Kredit hat Bajnais Nachfolger Viktor Orbán nicht nur nicht verlängert, weil er für sein Land die IWF-Bedingungen nicht akzeptierte; er ist nahezu zurückgezahlt. Unter Orbán, der das Land, gestützt auf eine parlamentarische Zweidrittelmehrheit, seit 2010 regiert, hat sich Ungarns Staatsverschuldung von 82 auf unter 80 Prozent des Bruttoinlandsprodukts (BIP) verringert. Ebenso wie das Aufbrechen postkommunistisch-oligarchischer Strukturen, Teil derer Bajnai und Gyurcsány sind, war dies nur mit nach EU-Maßstäben reichlich unkonventionellen Mitteln möglich.


Was Bajnai als „Machthunger“ Orbáns bezeichnet, dem er vorwirft, „demokratische Kernwerte“ aufgegeben zu haben, ist im Lande selbst und außerhalb wohlfeil. Gegen Orbáns Ungarn wettern die meisten Medien sowie politisch korrekte Politiker. Längst sind es nicht mehr nur Sozialdemokraten, Liberale und Grüne; auch Unions-Politiker stimmen ein, selbst die deutsche Kanzlerin: Ungarn müsse „dort, wo Gesetze oder Verfassungsänderungen nicht im Einklang mit EU-Verträgen stehen, Veränderungen vornehmen“. Wie andere EU-Choristen kennt Merkel offenbar nicht den Befund des Verfassungsrechtlers und ehemaligen CDU-Ministers Rupert Scholz. Dieser bezeichnete die Verfassung als  „nach objektiven Kriterien eine moderne, in vielen Punkten sogar vorbildliche“.


Fidesz, Orbáns Partei, ist Mitglied der Europäischen Volkspartei (EVP), zu der auch CDU und CSU gehören. Orbán aber ist vor allem ein ungarischer Patriot, kein „netter Junge“, wie er betont: Die Wähler hätten ihn „nicht beauftragt, Mainstream-Politik zu betreiben“, er müsse „Ungarn mit den schwierigsten Fragen konfrontieren und für diese Lösungen anbieten“. Doch mit Vaterlandsliebe eckt man an. Dass er sich mit  Martin Schulz (SPD) im EU-Parlament Wortgefechte liefert, spricht eher für den Ungarn. Dass allerdings auch Justizkommissarin Viviane Reding aus der EVP-Familie Artikel 7 des EU-Vertrags ins Spiel bringt, ist ernst zu nehmen. Demgemäß kann ein Mitgliedsland mit Sanktionen bis zum Stimmrechtsentzug belegt werden, wenn es „gegen demokratische Grundsätze verstößt“. Das erinnert fatal an das Vorgehen gegen die „falsche“ Wahl in Österreich anno 2000.


Orbán werden diktatorische Züge angedichtet. Er gängle die Medien, behaupten seine Kritiker. Doch dass ein Umbau der von ausländischen Verlagshäusern und hoch verschuldeten „Staatssendern“ dominierten ungarischen Medienlandschaft vonnöten ist, können nicht einmal die Sozialisten ernstlich bestreiten.


Was macht ihn noch verdächtig? Dass in der Verfassungspräambel die „Heilige Krone“ Stephans I. als Symbol der Wahrung der historischen Kontinuität der Nation verehrt und der „Segen Gottes“ für deren Gedeih erfleht wird? Ungarn gehört damit zu jenen wenigen Ländern in Europa, die einen Gottesbezug in der Verfassung haben – der übrigens wörtlich aus seiner Nationalhymne entlehnt ist. Auch das „Nationale Glaubensbekenntnis“ ist keineswegs „antieuropäisch“, sondern betont – fern jedweden territorialen Verlangens – die Verantwortung für die etwa 3,5 Millionen Magyaren außerhalb der Landesgrenzen: „Die Nation muss – im kulturellen und geistigen Sinne – über Grenzen hinweg vereint werden, nicht durch die Bewegung von Grenzen“, pflegt Orbán zu entgegnen. Das Bekenntnis zur Familie sorgt für Unmut, weil die neue Verfassung die Gleichstellung der Ehe mit gleichgeschlechtlichen Gemeinschaften ausschließt. Dass die Verfassung ohne Volksabstimmung in Kraft gesetzt wurde, hat sie mit dem deutschen Grundgesetz oder der US-Verfassung gemein. Dass das ungarische wie andere Verfassungsgerichte nicht über ähnliche Kompetenzen wie jenes in Karlsruhe verfügen, ist in Europa nicht ungewöhnlich; Großbritannien und Schweden haben gar kein Verfassungsgericht. Und in Österreich wurde der Verfassungsgerichtshof oft genug durch SPÖ-ÖVP-Gesetze im Verfassungsrang ausgehebelt – ohne dass Brüssel daran Anstoß genommen hätte.


Die Orbán-Beschimpfung wird weitergehen. Derweil lässt sich die Autoindustrie weiter von Fakten leiten statt von Vorurteilen: Audi betreibt in Gyor das weltgrößte Pkw-Motorenwerk. Mercedes begann 2012 mit der Produktion seiner B-Klasse in Kecskemét, in diesem Jahr ist das neue Coupé CLA dazugekommen. Und aus Szentgotthárd sollen von 2014 an 600000 statt wie bisher 300000 Opel-Motoren jährlich kommen. Erstmals wächst die Wirtschaftsleistung Ungarns wieder, und das Haushaltsdefizit wird schon im zweiten Jahr weit unter den drei Prozent nach Maastricht gehalten. Anderen EU-Staaten, in Sonderheit jenen der maroden Südschiene, geht das ab.  

Rainer Liesing

The dirty and dying dollar

Is the Superpower Afraid of Iran?

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Is the Superpower Afraid of Iran?

Buchanan-Pat.jpg“Iran’s Nuclear Triumph” roared the headline of the Wall Street Journal editorial. William Kristol is again quoting Churchill on Munich.

Since the news broke Saturday night that Iran had agreed to a six-month freeze on its nuclear program, we are back in the Sudetenland again.

Why? For not only was this modest deal agreed to by the United States, but also by our NATO allies Germany, Britain and France.

Russia and China are fine with it.

Iran’s rivals, Turkey and Egypt, are calling it a good deal. Saudi Arabia says it “could be a first step toward a comprehensive solution for Iran’s nuclear program.”

Qatar calls it “an important step toward safeguarding peace and stability in the region.” Bahrain, Kuwait and the United Arab Emirates have issued similar statements.

Israeli President Shimon Peres calls the deal satisfactory. Former Military Intelligence Chief Amos Yadlin has remarked of the hysteria in some Israeli circles, “From the reactions this morning, I might have thought Iran had gotten permission to build a bomb.”

Predictably, “Bibi” Netanyahu is leading the stampede:

“Today the world has become a much more dangerous place because the most dangerous regime in the world has taken a significant step toward attaining the most dangerous weapon in the world.”

But this is not transparent nonsense?

In return for a modest lifting of sanctions, Tehran has agreed to halt work on the heavy water reactor it is building at Arak, to halt production of 20-percent uranium, to dilute half of its existing stockpile, and to allow more inspections.

Does this really make the world “a much more dangerous place”?

Consider the worst-case scenario we hear from our politicians and pundits — that Iran is cleverly scheming to get the U.S. and U.N. sanctions lifted, and, then, she will make a “mad dash” for the bomb.

But how exactly would Tehran go about this?

If Iran suddenly moved all its low-enriched uranium, to be further enriched in a crash effort to 90 percent, i.e., bomb grade, this would take months to accomplish.

Yet, we would be altered within hours that the uranium was being moved.

Any such Iranian action would expose Barack Obama and John Kerry as dupes. They would be discredited and the howls from Tel Aviv and Capitol Hill for air and missile strikes on Natanz, Fordo and Arak would become irresistible.

Obama and Kerry would be forced to act.

War with Iran, which would mean a shattered Iran, would be a real possibility. At the least, Iran, like North Korea, would be sanctioned anew, isolated and made a pariah state.

Should Iran test a nuclear device, Saudi Arabia would acquire bombs from Pakistan. Turkey and Egypt might start their own nuclear weapons programs. Israel would put its nuclear arsenal or high alert.

If, after a year or two building a bomb, in an act of insanity, Iran found a way to deliver it to Israel or a U.S. facility in the Middle East, Iran would be inviting the fate of Imperial Japan in 1945.

So, let us assume another scenario, that the Iranians are not crazed fanatics but rational actors looking out for what is best for their country.

If Iran has no atom bomb program, as the Ayatollah attests, President Hassan Rouhani says he is willing to demonstrate, and 16 U.S. intelligence agencies concluded six years ago and again two years ago, consider the future that might open to Iran — if the Iranians are simply willing and able to prove this to the world’s satisfaction.

First, a steady lifting of sanctions. Second, an end to Iran’s isolation and a return to the global economy. Third, a wave of Western investment for Iran’s oil and gas industry, producing prosperity and easing political pressure on the regime.

Fourth, eventual emergence of Iran, the most populous nation in the Gulf with 85 million citizens, as the dominant power in the Gulf, just as China, after dispensing with the world Communist revolution, became dominant in Asia

Why would an Iran, with this prospect before it, risk the wrath of the world and a war with the United States to acquire a bomb whose use would assure the country’s annihilation?

America’s goals: We do not want a nuclear Iran, and we do not want war with Iran. And Iran’s actions seem to indicate that building an atom bomb is not the animating goal of the Ayatollah, as some Americans insist.

Though she has the ability to build a bomb, Iran has neither conducted a nuclear test, nor produced bomb-grade uranium. She has kept her supply of 20-percent uranium below what is needed to be further enriched for even a single bomb test. Now, she has agreed to dilute half of that and produce no more.

If Iran were hell-bent on a bomb, why has she not produced a bomb?

Just possibly, because Iran doesn’t want the bomb. And if that is so, why not a deal to end these decades of sterile hostility?

B52 EN ASIE : UNE PENTE DANGEREUSE

 

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B52 EN ASIE : UNE PENTE DANGEREUSE

Les stratèges américains en plein chambardement

Michel Lhomme
Ex: http://metamag.fr

Nous l’avions écrit: le prochain théâtre de guerre sera asiatique et en partie maritime (l’Océan Pacifique). Deux bombardiers américains B-52 ont pénétré dans la très controversée « zone aérienne d'identification » (ZAI) mise en place par la Chine.  Cette zone est récente et même très récente puisque elle date tout simplement de samedi dernier ! On nous dit que les Etats-Unis n’en auraient pas référé à Pékin mais heureusement puisque cette ZAI n’existe pas dans les textes ! Les avions US, qui n'embarquaient aucune arme mais sans doute de bons outils de renseignements, ont décollé de l'île de Guam dans le Pacifique lundi soit à peine deux jours après l’annonce unilatérale chinoise. Le soutien des Américains à leur allié japonais est donc total.

Aucun plan de vol n'avait été déposé au préalable auprès de la Chine et la mission s'est déroulée "sans incident". Les deux avions sont restés "moins d'une heure", - ce qui est assez long - dans la dite "zone aérienne d'identification". Ils attendaient sans doute les avions de chasse chinois que Pékin s’est bien gardé d’envoyer. Cette "zone aérienne d'identification" a suscité l'opposition ferme et justifiée du gouvernement japonais car elle englobe les îles Senkaku, îles fermement revendiquées par Pékin sous le nom de Diaoyu. Mais la ZAI chinoise de samedi va aussi plus loin : elle englobe des eaux revendiquées par Taïwan et la Corée du Sud, ces derniers ayant également manifesté leur mécontentement après la décision de Pékin.

CHINA_-_JAPAN_-_Diaoyu-Senkaku.jpgDans sa déclaration de samedi, la Chine exigeait que tout appareil s'aventurant dans cette ZAI fournisse désormais au préalable son plan de vol précis, affiche sa nationalité et maintienne des communications radio permettant de "répondre de façon rapide et appropriée aux requêtes d'identification" des autorités chinoises, sous peine d'intervention des forces armées. Le ton est monté lundi entre Tokyo et Pékin à la suite de la décision chinoise d'imposer cette zone de contrôle aérien. Le même jour et en solidarité avec son allié japonais, le colonel Warren, porte-parole de la Défense américaine a qualifié la mesure chinoise d'"incendiaire". Des responsables du Pentagone ont alors précisé que les avions de l'armée américaine continueraient de voler dans cette région comme avant, sans soumettre de plans de vol à Pékin au préalable.

Le différend territorial entre les deux puissances asiatiques s'est aggravé depuis septembre 2012, lorsque le Japon a nationalisé trois des cinq îles qui appartenaient à un propriétaire privé nippon. Cette décision avait entraîné une semaine de manifestations anti-japonaises violentes en Chine, et une forte contestation de Pékin. Le Japon fit de son côté patrouiller ses garde-côtes dans les mêmes eaux et ce chassé-croisé avait suscité les craintes d'un éventuel incident armé entre les deux puissances.

B52 dans le Pacifique mais lâchage en Afghanistan

Par ailleurs, poursuivant leur politique de « changement de pivot stratégique », la conseillère de sécurité nationale américaine Susan Rice en visite à Kaboul a prévenu le président afghan Hamid Karzaï qu’il ne serait « pas viable » de retarder la signature de l’accord de sécurité entre leurs deux pays. Elle a haussé le ton en affirmant que sans signature rapide d’un accord réciproque, les Etats-Unis n’auraient d’autre choix que de prévoir un après-2014 où les troupes américaines et de l’Otan ne seraient plus présentes .Le gouvernement de Karzaï se retrouverait seul et sans appui financier. Sans le dire ouvertement, les USA affirment qu’ils sont prêts à lâcher l’Afghanistan, quitte à  entériner un retour taliban dans le secteur. Un peu déroutant tout de même pour nos défunts soldats : pour qui, pourquoi sont-ils morts finalement ?

La relation entre les Etats-Unis et l’Afghanistan est extrêmement tendue. L’enjeu est la signature du traité bilatéral de sécurité (BSA) que Washington et Kaboul négocient actuellement depuis plusieurs mois. Kharzaï ne cesse de faire monter les enchères. La Loya Jirga, grande assemblée traditionnelle afghane, a pourtant approuvé dimanche le Traité, qui doit définir les modalités d’une présence militaire américaine en Afghanistan après le départ des 75 000 soldats de l’Otan. En fait, d’ores et déjà, ce retrait fait craindre une recrudescence des violences dans le pays et même une offensive taliban au printemps prochain entraînant une déstabilisation de la partie indienne ou pakistanaise.

Pour précipiter cette signature, la Maison Blanche tente de jouer des divisions locales et s’est donc vivement félicitée de l’approbation du Traité bilatéral de Sécurité par la Loya Jirga pachtoune. Elle demande des comptes à Kharzaï ! Or, ce dernier aurait énoncé de nouvelles conditions pour signer l’accord et aurait même indiqué qu’il n’était pas prêt à signer rapidement.

Hamid Karzaï est aux abois 

Il souhaite que la promulgation de l’accord ait lieu après l’élection présidentielle d’avril 2014, à laquelle cependant la Constitution lui interdit de se présenter. Les Etats-Unis ont refusé catégoriquement les nouvelles exigences de Karzaï et répondu que « retarder la signature jusqu’aux élections de l’année prochaine n’était pas viable, car cela ne donnerait pas la clarté nécessaire aux Etats-Unis et à l’Otan pour planifier leur présence après 2014. L'absence d’un BSA signé mettrait en danger les promesses d’aides faites par l’Otan et d’autres pays aux conférences de Chicago et Tokyo en 2012 ».

La diplomatie a aussi des perspectives économiques. En Iran, les entreprises automobiles américaines s’apprêtent à revenir dans le pays, satisfaites au passage d’avoir pu, avec l’aval du blocus occidental, éliminé les compagnies françaises concurrentes, Renault et Peugeot ! En fait, on n’est pas vraiment sûr que la diplomatie française ait compris les changements d’alliances en cours, qu’elle ait réellement pris la mesure de la rapidité avec lequel les Etats-Unis, très bien informés sur l’état réel de la défense chinoise sont aujourd’hui déterminés à pivoter à cent quatre vingt degrés. Ils ont accéléré l’accord sur le Sahara occidental et renforcé l’alliance militaire avec le Maroc. Ils sont en train  d’éclaircir leurs positions en Amérique latine tout cela pour se concentrer ensuite sur le Pacifique et l’endiguement de la Chine. Il serait peut-être temps que le Quai d’Orsay se réveille. Mais après tant de décisions irrationnelles, le peut-il encore vraiment sans se désavouer totalement ?

samedi, 30 novembre 2013

L’étrange connexion d’Abdelhakim Dekhar avec le renseignement français, algérien et le SAC

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L’étrange connexion d’Abdelhakim Dekhar avec le renseignement français, algérien et le SAC

Notice du Réseau JORD Kadoudal - Ex: http://reseau-jord.net

Abdelhakim Dekhar n’a été mis en examen que pour “tentative d’assassinat”. La dimension terroriste n’ayant pas été retenue malgré les motivations politiques de l’intéressé. Jean Guisnel, agent du renseignement français et accessoirement journaliste, a par ailleurs dès hier désigné Abdelhakim Dekhar comme un simple “déséquilibré”, écartant fébrilement toute idée de planification et d’éventuelles ramifications. Ce qui invite logiquement à la suspicion.

En croisant les informations disponibles sur Abdelhakim Dekhar, des liens avec l’appareil du renseignement français et algérien apparaissent. Ce qui n’est pas sans rappeler l’affaire Mohammed Merah.

Selon les premiers éléments disponibles, c’est la piste de la contre-guérilla qui semble la plus crédible. Dekhar ayant été membre du renseignement algérien chargé, durant la guerre entre l’Etat Algérien et le GIA (islamistes), de repérer en France les éléments algériens potentiellement liés à la mouvance islamiste. Il est aussi lié à un officier de renseignement français, ayant grenouillé auprès du GAL, un groupe paramilitaire franco-espagnol chargé d’éliminer des membres d’ETA en dehors de toute légalité. Vraisemblablement au coeur d’une coopération franco-algérienne, Dekhar aurait été chargé d’infiltrer aussi bien l’extrême gauche que la mouvance islamiste dans les années 90 avec l’aide d’experts ayant agi contre l’ETA, organisation basque d’obédience marxiste. C’est lui qui fournira l’armement au couple de jeunes marginaux d’ultra-gauche, Florence Rey et Audry Maupin, qui fit plusieurs morts dans une tuerie vraisemblablement téléguidée par des services de renseignement, français ou algérien, dans un but non défini, mais vraisemblablement politique.

Il est impossible de définir à l’heure actuelle qui sont les commanditaires d’Abdelhakim Dekhar. Mais le fait que les sites internet de Libération et de la Société Générale, lequel est particulièrement protégé des pirates, indique que la thèse de l’acte isolé ne tient pas. Pour neutraliser même temporairement les transactions d’une grande banque, il faut par évidence des moyens informatiques conséquents. Or, immédiatement le parquet a non seulement exclu la dimension terroriste de l’acte mais encore retenu la thèse de “l’acte isolé”, qu’infirme les dites attaques informatiques.

En toute logique, on peut d’ores et déjà affirmer que le gouvernement français ne désire pas donner de dimension politique à cette faire et cherche, pour des raisons inconnues à ce stade, à masquer ce qui peut être :

- Soit une action des services de renseignement français dans le cadre d’une campagne de guerre contre-insurrectionnelle dont les buts sont encore inconnus

- Une action de déstabilisation menée par un gouvernement étranger contre la France, émanant peut-être du gouvernement algérien dans l’hypothèse de tensions entre la France et l’Algérie

- Une action interne de la part d’une faction des services de renseignement français hostile au gouvernement actuel et travaillant, potentiellement, pour la droite française, singulièrement les réseaux sarkozystes héritiers des bons offices de Charles Pasqua, ancien membre du SAC auquel a appartenu le recruteur de Abdelhakim Dekhar

Pour en savoir plus :

INFO PANAMZA. L’homme que son ADN désigne aujourd’hui comme le “tireur de Libération” avait affirmé, lors du procès de Florence Rey, être un agent des services secrets. En 1996, Abdelhakim Dekhar avait fait la démonstration, face à un juge, de son lien inattendu avec un militaire au passé obscur.

Dekhar prétendait avoir rencontré au Liban, lors d’une mission, un officier français dont il avait donné le nom.

Lors de cette séance au Palais de justice, étaient présents trois gendarmes du Palais et cet homme dont le juge d’instruction n’a pas voulu me donner le nom.

Abdelhakim Dekhar est allé directement vers lui, lui a serré la main et l’a appelé par son nom, ils semblaient très bien se connaître.

Tels sont les propos extraits d’un entretien accordé aujourd’hui au Figaro par Emmanuelle Hauser-Phelizon, ancienne avocate d’Abdelhakim Dekhar.

De 1994 à 1998, le Franco-Algérien était en détention provisoire en raison de son implication présumée dans l’affaire Rey-Maupin. En 2003, l’émission Faites entrer l’accusé de France 2 lui avait consacré une séquence.

Interrogée dans la nuit de mercredi à jeudi sur I Télé, l’avocate avait déjà souligné l’importance de cet “officier français” connu au Liban par Abdelhakim Dekhar. La chaîne d’information n’a pas mis en ligne la vidéo intégrale de cette interview (dont un extrait peut être vu ici). Les propos tenus alors par Emmanuelle Hauser-Phelizon sont néanmoins similaires à ceux exprimés ensuite auprès du Figaro.

Dans la matinée de jeudi, l’avocate, sollicitée par RTL, France Inter et BFM TV, a nuancé le portrait sommaire qui allait être esquissé par François Molins, procureur de la République de Paris, au sujet de son ancien client et repris sans sourciller par la plupart des médias hexagonaux : il serait réducteur, selon celle qui l’a fréquenté durant quatre années, de considérer simplement Abdelhakim Dekhar comme un ancien hurluberlu “aux tendances affabulatrices” comme l’a décrit le magistrat. “Il n’était pas un mythomane”, a-t-elle fait savoir au Figaro.

Le procureur de la République de Paris : “Dès lundi la thèse d’un auteur unique était privilégiée” sur WAT.tv

Je ne le voyais pas comme un homme violent mais comme un homme intelligent, extrêmement méfiant, même vis-à-vis de moi.

C’est une affaire (ndlr: l’affaire Rey-Maupin) qui a traumatisé le pays. On ne s’est intéressé qu’à Florence Rey et Audry Maupin à l’époque. Des tas de choses ne sont pas sorties lors de ce procès. Je n’ai plus aucune nouvelle de lui depuis 1998.

Cet homme est une énigme. Je n’ai jamais eu de rapports proches. J’avais des convictions dans son dossier mais c’était quelqu’un d’extrêmement réservé et d’extrêmement intelligent.

Emmanuelle Hasuer-Phelizon, BFM TV, 21.11.13

Lors du procès Rey-Maupin, les experts psychiatriques étaient d’ailleurs beaucoup moins catégoriques que François Molins. Voici les extraits du rapport médical effectué alors sur Abdelhakim Dekhar et rapportés aujourd’hui par le journaliste Frédéric Ploquin de Marianne (passages en gras soulignés par Panamza):

A en croire l’un des docteurs qui a mené son examen psychologique pour le compte de la justice après son arrestation, en 1994, pour complicité de vol à main armée, « ses différents emplois n’auraient en fait qu’un rôle de prétexte, puisque son activité réelle, officielle et mensualisée selon lui, aurait été celle d’officier de renseignements pour les autorités algériennes ».

« C’est ainsi, poursuit le docteur, qu’il aurait eu pour mission d’infiltrer les milieux gauchistes, marginaux et potentiellement violents de la région parisienne ». Dernière réflexion : « Il n’est pas impossible que les services de renseignements algériens ou français utilisent des personnalités plus ou moins déséquilibrées et plus ou moins insérées socialement pour justement infiltrer les milieux marginaux ».

Marianne rapporte également les propos tenus alors par Dekhar devant le juge.

Dès ses premières déclarations devant le juge chargé d’élucider l’attaque d’une fourrière parisienne par deux apprentis gauchistes, ponctuée par la mort de trois policiers et d’un chauffeur de taxi, Dekhar raconte en effet qu’il a bénéficié d’une formation dans une école militaire, près d’Alger (« On m’a appris à formuler des messages, à les coder, à filmer avec des caméscopes et à filer les gens »). Puis comment il a mené ses premières missions d’espionnage parmi les étudiants algériens, sur le campus universitaire de Metz, pour le compte d’un membre de l’amicale des algériens en Europe, un certain Mohamed Boudiaf. C’est sous le contrôle d’un officier palestinien, un certain Haffif Lakdar, qu’il aurait approfondi ses contacts avec la mouvance autonome, en particulier avec Philippe Lemoual, qu’il a connu à l’occasion d’un concert, puis en fréquentant les squats parisiens, fin 1990. « On m’avait, dit-il, demandé de m’infiltrer auprès de gens susceptibles de faire partie de milieux islamistes dans certaines banlieues ». On lui aurait également permis d’accéder à une sorte de centre de documentation sur l’extrême gauche clandestine, situé à l’intérieur de l’ambassade d’un pays du Golfe, près de Trocadéro. Il aurait ensuite été pris en main par un membre du consulat d’Algérie à Aubervilliers, un certain Moukran. Travaux pratiques : un mystérieux tract appelle à la jonction de la violence entre l’Algérie et les banlieues françaises, en novembre 1993. « On » lui demande « d’être bien » avec Philippe, mais aussi avec un garçon surnommé « Francky », qui semble lui aussi avoir un lien avec ce tract.

« C’est dans ces conditions, explique-t-il, que Philippe est venu me demander d’acheter un fusil de chasse » S’il a accepté, c’est « dans une optique précise, qui consistait à faire du renseignement pour mon pays, qui est en guerre ».

Officiellement, la justice n’a jamais corroboré ces déclarations singulières d’Abdelhakim Dekhar, surnommé alors “Toumi”. Mais une chose est certaine: la condamnation clémente de l’homme qui se disait “protégé par les services” avait surpris sa propre avocate. Malgré le témoignage de Florence Rey qui le désigna comme le “troisième homme”, Dekhar a seulement été reconnu coupable d’association de malfaiteurs et écopa de quatre années de prison, soit la durée exacte de sa détention provisoire. Comme le fit remarquer -hier soir, sur I Télé- son ancienne avocate, le Parquet avait pourtant requis dix années. Ce fut une décision “étrange”, ajouta Emmanuelle Hauser-Phelizon.

Barbouzes, terrorisme d’Etat et coups tordus

Panamza a découvert le nom de ce mystérieux “officier français” auquel l’avocate fait mention dans son entretien accordé au Figaro, précisant que le juge n’avait pas voulu alors lui décliner son identité. Il s’agit de Gérard Manzanal. Cette information avait été obtenue et divulguée le 28 mai 1996 par la journaliste Cathy Capvert de L’Humanité. Extraits (passages en gras soulignés par Panamza) :

Parce qu’il en dit trop ou pas assez, et qu’il faudra bien un jour savoir s’il est complètement fou ou un vrai agent secret, le juge Hervé Stéfan a décidé de le confronter avec l’homme qui l’aurait recruté et lui aurait permis, indirectement, d’infiltrer les mouvements autonomes français.

Ce matin-là, le magistrat ordonne donc à trois ou quatre gendarmes, habituellement employés au Palais de justice, de venir dans son bureau en civil. Il faut brouiller les pistes. Les hommes s’alignent. Tous âgés d’une cinquantaine d’années. Au milieu, le recruteur présumé. Un certain Gérard Manzanal que bien peu de monde connaît. Sauf peut-être ceux qui s’intéressent au dossier du GAL, le Groupe antiterroriste de libération dont les commandos ont semé la mort au Pays basque entre 1983 et 1987.

Dans cette affaire de terrorisme d’Etat, supposé lutter contre l’ETA, son nom a été cité par un témoin à charge dans le volet espagnol de l’enquête. Nulle part son portrait n’a été diffusé. Dans les milieux nationalistes basques, on pensait même qu’il avait disparu. Mais il est bien vivant. Au milieu de la parade d’identification, Abdelhakim Dekhar le reconnaît, tend son index et dit: « C’est Gérard Manzanal, l’officier qui nous dirigeait à Beyrouth et m’a présenté à des officiers de la Sécurité militaire algérienne. Il était membre du SAC. C’est lui qui me l’a dit ».

Plus loin, la journaliste précisa que l’intéressé avait évidemment démenti tout lien avec Abdelhakim Dekhar.

L’ancien sergent recruteur de la légion étrangère à Bayonne, aujourd’hui affecté près du commandement général des régiments étrangers, explique: « De par mes fonctions, je suis un homme public. Dans toutes les gendarmeries, les ANPE, les commissariats, il y a des affiches pour inciter les hommes à s’engager, j’y agrafe ma carte de visite ». Reste que sa photographie n’y est pas accolée. De toute façon, il dit: « Je n’ai jamais fait partie du SAC. Je ne suis jamais allé à Beyrouth. Je ne connais aucun membre de la Sécurité militaire ».

Et d’émettre, à propos de l’affaire Rey-Maupin survenue au début de la campagne présidentielle de 1994/95 et sous l’ère Pasqua (alors ministre de l’Intérieur et ancien responsable du Service d’Action Civique) une audacieuse hypothèse (que certains taxeraient probablement aujourd’hui du mot fourre-tout de “complotiste”) pour conclure son article:

Un légionnaire qui aurait fait partie du SAC: la coïncidence est trop belle, colle trop bien avec la thèse de la manipulation policière que défend depuis son arrestation Abdelhakim Dekhar. Le SAC dissout, les aventuriers n’ont pas obligatoirement disparu.

Et si, effectivement Dekhar avait raison et qu’un groupe de militants d’ultra-gauche avait été infiltré afin d’être utilisé pour servir une idéologie de droite?

Dans un ouvrage paru en 1981, juste après la tuerie d’Auriol, Lecavelier, ancien membre du SAC, expliquait que la stratégie de cette milice consistait à « déstabiliser le régime par des actions d’infiltration et d’intimidation pouvant aller jusqu’à la violence ». On aurait le « comment? ». Peut-être même le « pourquoi? » de l’attaque de la préfourrière.

Hormis cet article de L’Humanité, exhumé aujourd’hui par Panamza, il existe très peu d’éléments publics -disponibles en ligne- à propos de Gérard Manzanal. Il faut consulter la presse espagnole et les essais hispanophones consacrés à l’ETA pour avoir des bribes d’information. Ainsi, le quotidien El País paru le 17 septembre 1988 évoqua le démenti de Manzanal à propos de son implication dans l’affaire du GAL, ce groupe clandestin de paramilitaires secrètement appuyés par l’Espagne et la France pour lutter contre les indépendantistes basques de l’ETA. Le 21 septembre 1995, le même quotidien espagnol souligna la participation vraisemblable de Manzanal dans les opérations du GAL. Un livre paru en 2008 sur les services secrets espagnols qualifia Manzanal de “mercenaire” au service des agences de renseignements. En avril 2011, le site La Gaceta consacra un portrait à l’une des figures opaques du GAL, un policier français surnommé “Jean-Louis”: incidemment, le journaliste Manuel Cerdán fit allusion à Gérard Manzanal, présenté comme l’un de ses “ex-collaborateurs” qui serait aujourd’hui décédé.

En mars 2012, Canal+ diffusa une enquête de 52 mn consacrée à ce sujet particulièrement obscur dans les relations franco-espagnoles et dénommé “GAL: des tueurs d’Etat ?”. En 1996, les députés communistes avaient réclamé, en vain, la création d’une commission d’enquête parlementaire sur la question. Un juge d’instruction, Christophe Seys, avait également tenté, sans succès, de faire la lumière sur le volet français de ces opérations clandestines et meurtrières: « J’ai commencé à vouloir le faire, expliqua-t-il, mais les choses sont devenues difficiles…».

Quel rapport avec Dekhar? Si l’homme avait bien été “recruté” par Manzanal, comme il l’affirma au juge, reste à savoir comment et jusqu’à quand cette collaboration occulte se déroula. Un seul fait semble assuré, à ce jour, à propos de son rapport officiel avec l’institution militaire: selon Evelyne Gosnave-Lesieur, avocate générale du procès Rey, Dekhar aurait été réformé de l’armée en raison d’un problème oculaire.

Un ancien du SAC décoré par le ministre ?

En mai 1996, lorsqu’il fut convoqué au Palais de justice de Paris, Gérard Manzanal n’était plus sergent instructeur en poste à Bayonne comme ce fut le cas du temps de l’affaire du GAL. Il avait entretemps intégré le Commandement de la Légion étrangère, basé à Aubagne. Trois mois auparavant, le 6 mars 1996, l’adjudant-chef Gérard Manzanal recevait, pour ses “28 ans de services”, la prestigieuse “médaille militaire” de la part de Charles Millon, alors ministre de la Défense et compagnon historique des mouvances groupusculaires d’extrême droite.

Dans un document publié en 1995 par El Mundo et rédigé par les indépendantistes basques de Batasuna, il est fait mention de Manzanal :

Gérard Manzanal Pan était le chef de recrutement de la Légion étrangère. Né dans la localité de Garbajosa de Alba, proche de Salamanque, il entra dans la Légion française la 6 août 1967. Sa carrière professionnelle est brillante et il a été décoré, entre autres, de la médaille d’Outre-Mer et de la Défense nationale de l’Armée française. Le 1er mars 1987, il fut arrêté et interrogé par la Police judiciaire de Bayonne en relation avec une affaire du GAL.

Pedro Sanchez (est) un homme-clef dans l’affaire du GAL. Ex-légionnaire, originaire de Santander, naturalisé français, résidant à Biarritz, extrémiste de droite convaincu, comme son ami Manzanal, ex-membre du SAC. Il fut arrêté le 4 décembre 1984 au cour de l’enlèvement de Segundo Marey par un commando du GAL. La police fit ne perquisition à son domicile, 29 rue de Mazagran à Biarritz et saisit 43 photos de membres d’ETA provenant de dossiers policiers. En outre, il portait sur lui le numéro de téléphone direct du bureau d’Amedo à la Direction supérieure de la police de Bilbao. Il alla en prison. Après une brève période de liberté conditionnelle, il fut réincarcéré jusqu’en 1986. Le 27 août de cette même année, les juges français lui accordèrent de nouveau la liberté, cette fois à cause de son état de santé extrêmement précaire. Le 7 octobre, il mourut à Bordeaux. Avec lui disparaissait une des personnes-clef dans le réseau initiale du GAL, en particulier en ce qui concerne le recrutement des mercenaires pour la formation des commandos.

Herrira, un mouvement dédié à la libération des “prisonniers politiques” basques, évoque également Manzanal, présenté comme un fournisseur d’hommes chargés d’opérations clandestines:

Amedo signale un de ses contacts comme étant le chef du recrutement de la Légion étrangère à Baiona : Gérard Manzanal Pan. C’est par son intermédiaire qu’il a connu plusieurs ex-membres de la Légion comme Sanchez ou Echalier qui participeront à des attentats.

Au lendemain de l’arrestation de Dekhar dans un parking de Bois-Colombes, et dix-sept ans après sa désignation (qui a stupéfié le juge et son avocate) de Manzanal -présenté comme son “recruteur”-, une énigme demeure : si l’homme avait collaboré durant plusieurs années (au moins de 1990 à 1994, période au cours de laquelle il infiltra avec succès l’ultra-gauche parisienne) avec un militaire rôdé dans la pratique du terrorisme d’Etat, qu’en est-il de ses contacts aujourd’hui avec de tels personnages similaires?

Rien n’exclut l’hypothèse d’une action solitaire dans les tentatives d’assassinat (non assimilées, curieusement, à une “entreprise terroriste”) perpétrées à BFM, Libération et devant le siège de la Société générale. Mais rien, non plus, n’autorise à balayer d’un revers de la main, au regard de sa connexion antérieure avec Manzanal, la possibilité d’une manipulation policière et barbouzarde aux visées politiques. Poursuivre l’exploration du passé trouble de Dekhar et de ses éventuels réseaux sera nécessaire : pour des raisons évidentes, le terrorisme d’Etat(s) constitue un tabou absolu pour la corporation médiatique actuellement au pouvoir.

Brzezinski sentencia el fin de la hegemonía de EU

por Alfredo Jalife-Rahme

Ex: http://paginatransversal.wordpress.com

En un panel de gran trascendencia, debido a los alcances prospectivos del imperativo ajuste a la política exterior de EEUU, celebrado el 22 de noviembre en la Escuela de Estudios Internacionales Avanzados (SAIS, por sus siglas en inglés) de la Universidad Johns Hopkins –considerada la más influyente en el listado de las universidades estadounidenses–, fue examinado por notables geoestrategas domésticos un libro de Charles Gati (director de Estudios Rusos y Euroasiáticos en el Instituto de Política Foránea): Zbig: estrategia y el arte de gobernar de Zbigniew Brzezinski.

A mi juicio, el contenido del trascendental panel de marras (http://www.youtube.com/watch?v=OHzoXLxXlwY) debe formar parte del acervo de las universidades globales interesadas en el rumbo geoestratégico de los próximos años que se ha empezado a desplegar en el planeta que vive el fin de la era de la hegemonía unipolar de EEUU que solamente duró 13 años, según Brzezinski, quien se explayó generosamente sobre su visión del acomodamiento en curso entre las tres superpotencias –EEUU, Rusia y China–, lo cual es notorio en el arreglo diplomático para salir del embrollo en Siria –sin despreciar el sorprendente ascenso de Irán, que evidentemente no es una superpotencia, pero que puede desempeñar un relevante papel regional, lo cual ha empezado a causar reverberaciones telúricas en la nueva correlación dramática de fuerzas en el golfo Pérsico, en particular, y en el gran Medio Oriente, en general.

Brzezinski –ex asesor de Seguridad Nacional del presidente Carter e íntimo de Obama, y creador conceptual de latrampa islámica de Afganistán, donde se inició la implosión de la URSS–, propone que EEUU debe llegar a un acomodamiento inteligente con Irán. Sin duda.

Brzezinski es muy crítico sobre la ignorancia de la opinión pública de EEUU, que no conoce al mundo y que es presa de la demagogia de los noticiarios que promueven sus agendas interesadas.

Incluso profiere que, a excepción de cuatro o cinco multimedia en EEUU que informan con credibilidad los asuntos mundiales, los restantes medios domésticos peroran sobre temas que ignoran y que confunden a la opinión pública que sobrereacciona, malentiende o ignora, lo cual perjudica la toma de decisiones de la Casa Blanca.

El principal escollo subyace en que los candidatos a sitios de representación popular llegan a sus puestos con una visión muy limitada y hasta primitiva (¡supersic!) del mundo, al unísono de su ignorancia de la historia universal. A mi juicio, tal constituye primordialmente uno de los signos letales de la decadencia de los imperios cuya nesciencia deshumanizada les hace perder tanto universalidad civilizatoria como magnanimidad ética y estética.

Pese a la percepción contraria, Zbig considera que Daddy Bush y Obama conocen profundamente la agenda de la política exterior de EEUU y explaya que medios extranjeros como BBC, TV-24 Horas de Francia y Al-Jazeera, son mejores que los canales de EEUU, obsesionados con noticias medicales, para aportar una mejor visión de los eventos globales.

Claro: en cuanto se refiere al mundo occidental, ya que a Brzezinski se le pasa por alto la obligatoriedad para cualquier hacedor de la política exterior de enterarse dialécticamente de las opiniones relevantes de los multimedia de Rusia y China, las noticias notables son ya también tripolares.

Por cierto, Russia Today (24/10/13) abunda sobre los días contados de la hegemonía de EEUU en la visión de Brzezinski, para quien “la convicción en nuestro excepcionalismo y universalismo, son al menos prematuras desde el punto de vista histórico”. Brzezinski sentencia que la hegemonía global es inalcanzable para quien sea cuando el mundo sufre una transformación dramática después de una lucha por la hegemonía que fue la realidad dominante y que duró 200 años desde la era napoleónica. En el mundo de hoy la hegemonía global no es más posible debido al despertar político global de la era digitálica.

A mi juicio, más que una vulgar traducción onírica, el términodespertar en EEUU es muy profundo, en el sentido teológico del protestantismo. En el asunto de Siria juzga que EEUU, pero al mismo tiempo EEUU hubiera podido fracasar si la situación se hubiera vuelto explosiva, lo que llevó a un cierto acomodamiento entre ambos. Juz­ga que lo mismo sucedió con los chinos, que ya están entrando a jugar en el proceso iraní debido a las limitaciones inherentes de una probable explosión regional: No existe una solución militar sencilla en Siria que puede ser regional en escalada. Pregona la prudencia en un conflicto regional que puede afectar también a la misma Rusia y China, quienes hubieran visto sus intereses vitales afectados. Sugiere que hoy se deben tomar decisiones más cuidadosas en no comprometerse, aunque sean justificables por imperativos morales, debido a que las consecuencias de comprometerse demasiado pudieran ser desastrosas, ya que la estrategia hoy es más compleja porque tiene que tomar en consideración a Rusia y a China, además de que existe un despertar político global que desencadena fuerzas políticas que ninguna superpotencia puede fácilmente controlar, contener o reprimir.

Lo más relevante de lo proferido por Brzezinski es que desde hace mucho EEUU no gana una sola guerra: ni la de Corea, ni Vietnam ni Afganistán ni Irak. Pronostica que China no nos va a atacar hipotéticamente en los próximos 20 años, pero si China desarrolla capacidades sin precedentes, como la ciberguerra, podemos ser derrotados súbitamente en un solo día sin saber que fuimos derrotados.

Después de 13 años como superpotencia desde 1990, hemos retrocedido dramáticamente y lo más probable son conflictos ambiguosque no entiende la opinión pública, por lo que es imperativo que los hacedores de la política exterior tomen cursos de negociación, autocontrol y cooperación con otros con quienes debemos compartir las responsabilidades en el mundo.

El despertar político global causará más conflictos en un mundo más anárquico, por lo que exhorta a la moderación y a la respuesta colectiva (sic) en el contexto de un nuevo mosaico globalNo estamos en la posición dominante de hace 20 años; ya no seremos los únicos omnipotentes que en los pasados 20 años y difícilmente nos recuperaremos en la próxima generación, cuando el mundo se perfila a un multilateralismo ambiguo en medio del desorden y la incertidumbre que serán la realidad prolongada donde EEUU deberá buscar socios más que aliados que compartan nuestros básicos intereses en estabilidad económica (¡supersic!) y social.

Insta a acercarse a la Unión Europea sin excluir a China cuando en un periodo de 20 a 30 años se desplegará lo más complejo de las relaciones internacionales. Pronostica que probablemente EEUU sea prominente pero no más la superpotencia hegemónica.

A mi juicio, Brzezinski propone para EEUU el papel de algo así como el primum inter pares –primero entre iguales– en el nuevo (des)orden tripolar de regionalismos emergentes que deberá compartir con Rusia y China.

Debo agregar que aquellos países que se ajusten convenientemente a la nueva realidad geoestratégica tripolar correrán menos riesgos de fracasar.

27/10/2013

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In Syrië ontluikt een Koerdische Lente

In Syrië ontluikt een Koerdische Lente

door Dirk Rochtus

Ex: http://www.doorbraak.be/

Volgt er op de Arabische Winter een Koerdische Lente? Ook in het noorden van Syrië verstevigen de Koerden hun positie. Een conferentie in de Belgische Senaat boog zich over de toekomstplannen van ‘Rojava’ of Syrisch Koerdistan. 

De hele twintigste eeuw door streden de Koerden, die verspreid leven over Irak, Iran, Turkije en Syrië, voor meer autonomie binnen deze staten. Er vloeide veel bloed; foltering, verbanning en dood vielen vele Koerdische militanten ten deel. Maar hun ‘gastheren’, de staten die hen dulden, geraakten vaak verwikkeld in buitenlandse conflicten en van de daaruit volgende interne verzwakking konden de Koerden ook profiteren. Saddam Hoessein overspeelde zijn hand in conflicten met de buurstaten en met de Verenigde Staten van Amerika (VSA) en daardoor konden de Koerden in het noorden van Irak hun autonomie uitbouwen. Turkije kreeg de PKK, de Koerdische separatistenbeweging in eigen land, niet klein, evenmin als de  BDP, de partij die als belangenvertegenwoordiger van de Turkse Koerden in het nationale parlement in Ankara zetelt. Bovendien beging de Turkse premier Tayyip Erdoğan de strategische fout om de oppositiebeweging tegen de Syrische president Basr al-Assad te ondersteunen. Deze laatste reageerde daarop door de Koerden in het noorden van zijn land meer ruimte te geven. Niet alleen kon hij zich zo in de strijd tegen de opstandelingen concentreren op voor hem meer vitale regio’s, maar bovendien zette hij ook een Koerdische pad in de korf van Erdoğan. Want Turkije is als de dood voor een autonome Koerdische regio in het noorden van Syrië, een gebied dat wordt gecontroleerd door de Democratische Eenheidspartij (PYD), een zusterorganisatie van de gehate PKK.

Rojava

In Syrië leven bijna drie miljoen Koerden, een tiende van de Syrische bevolking. Twee miljoen ervan leven verspreid over drie regio’s in het noorden van Syrië, in Efrîn (een half miljoen), Kobanê (400 000) en Cizîre (1,2 miljoen). De Koerden hebben het hier over West-Koerdistan of Rojava (terwijl ze het zuidoosten van Turkije Noord-Koerdistan, het noorden van Irak Zuid-Koerdistan en het Koerdische deel van Iran Oost-Koerdistan noemen). Alleen cartografen geraken hier het noorden niet kwijt. Assad liet de Syrische Koerden na tientallen jaren onderdrukking los maar dat betekende niet dat ze zich geen zorgen meer moesten maken. Moslimextremisten zaaiden de laatste maanden terreur in Rojava, het Koerdische gebied van Syrië. De Koerden vochten terug tegen deze nieuwe vijand en slaagden erin rust en orde in de regio te doen weerkeren. Samen met vertegenwoordigers van de Arabische en Assyrische bevolkingsgroepen en andere Koerdische partijen heeft de PYD op 12 november een conferentie georganiseerd om te beraadslagen over de toekomst van de regio. Het resultaat ervan is de installatie van een Overgangsregering en van een parlement met 82 afgevaardigden. De Koerden ontkennen dat dit een eerste stap naar afscheuring van Syrië zou zijn. De bedoeling zou erin bestaan om een democratische vredelievende orde in het leven te roepen waaraan een toekomstig pluralistisch Syrië zich zou kunnen spiegelen.

Internationaal

De vraag of dit democratisch project kans op slagen heeft, maakte het voorwerp uit van een conferentie die senator Karl Vanlouwe (N-VA) samen met het Koerdisch Instituut en het Centrum Maurits Coppieters op vrijdag 22 november in zaal M van de Belgische Senaat organiseerde. Verschillende grote namen uit de Koerdische Beweging zoals Salih Muslim, covoorzitter van de PYD, kwamen er het nieuwe project toelichten. Van Vlaamse kant en met het oog op de internationale context namen Ludo De Brabander, stafmedewerker bij Vrede vzw en VRT-journalist Rudi Vranckx het woord. De Brabander wierp zijn licht op de ‘Internationale actoren en hun bondgenoten’. Zonder in complottheorieën te willen vervallen, dichtte hij gas en olie toch een belangrijke rol toe in de conflictsfeer waarin het Midden-Oosten baadt. De ontdekking van olie- en gasvoorraden in de maritieme zone van Cyprus roept Rusland, dat een basis heeft in de Syrische havenstad Tarsus, op het voorplan; de ontsluiting van gasvoorraden in de Perzische Golf versterkt de rivaliteit tussen Iran en Katar, terwijl deze laatste een transportroute over land zoekt als alternatief voor de Straat van Hormuz. Het hoeft dan ook niet te verwonderen dat Iran en Katar in de kwestie Syrië met gekruiste degens tegenover elkaar staan.

Vranckx zocht een antwoord op de vraag waarom de burger in het Westen schoon genoeg heeft van alles wat het Midden-Oosten en inzonderheid Syrië te maken heeft. Er leeft heel wat wantrouwen bij de westerlingen tegenover de ‘Arabisch-islamitische wereld’, zo van ‘het zijn allemaal terroristen’. Op den duur wagen zelfs Westerse journalisten zich niet meer in het land, zo gevaarlijk is het geworden, en zeker sinds het fenomeen targeted killing opgang maakt. In 2013 werden er liefst 53 journalisten vermoord, en dan zijn er nog heel wat die ontvoerd worden of vermist zijn. Westerse nieuwsagentschappen sturen hun journalisten niet graag meer naar Syrië en zo wordt het natuurlijk moeilijk om een juist beeld van de situatie te krijgen. Ludo De Brabander vergeleek de huidige door terroristen verziekte sfeer in Syrië met het Bosnië van de jaren ’90. De fundamentalistische groeperingen die er toen lelijk huis hielden, zijn na het vinden van een politieke oplossing gemarginaliseerd en De Brabander denkt dan ook dat hetzelfde zal gebeuren in Syrië.

Hoop

Misschien kunnen de Koerden van hun kant bijdragen tot zo’n politieke oplossing voor Syrië. In Noord-Irak hebben ze bewezen dat ze voor democratie en voor law and order kunnen zorgen. Als dat ook lukt voor Syrië, groeit er wellicht hoop voor de wijdere regio. De Arabische Lente is volgens vele analisten uitgedraaid op een Arabische Winter maar de Koerdische Lente is nog niet in de knop gebroken. Vraag is natuurlijk wat Turkije gaat doen. Ankara heeft geen goed oog in het succes van de PYD en vreest dat de groeiende autonomie van de Syrische Koerden de eigen (Turkse) Koerden op ‘gedachten’ zou kunnen brengen.

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- Dirk Rochtus - chef Buitenland (25.11.2013)

Iran nuclear deal could change balance of power in Middle East

At a meeting in Geneva, the five permanent members of the UN Security Council plus Germany (known as the P5+1) have reached a deal with Iran according to which the Islamic Republic will halt enrichment of uranium above 5 percent purity and dispose of its stockpile of 20-percent-enriched uranium by diluting it to less than 5 percent.

In addition, the country’s nuclear facilities in Fordo and Natanz will come under IAEA control, while the construction of a heavy-water reactor at Arak, capable of producing plutonium, will be halted.

In return, the P5+1 group, or – to be more precise – the United States and the EU, have agreed to ease some of the sanctions against Iran. This will allow Iran to resume limited trade relations with the United States in the oil and gas, petrochemical and automotive sectors as well as trading in gold and precious metals. The resulting benefit for Iran will amount to $5-7 billion.

However, this deal is not just about the money.

The P5+1 group tabled their demand that Iran shut down and dismantle its already operating centrifuges. This and other provisions of the deal allowed Iran to claim that its key demand – a recognition of its right to enrich uranium – had been met.

Russian Foreign Minister Sergei Lavrov offered the following clear summary of the essence of the compromise: "This deal means that we agree that it is necessary to recognize Iran's right to peaceful atoms, including the right to enrichment, provided that the questions that remain to the Iranian nuclear program and the program itself come under strict control of the IAEA. This is the final goal, but it has already been set in today's document."

The opponents of the deal insist that Iran has thus retained the potential to create a nuclear weapon. The whole of its uranium enrichment infrastructure remains intact.

A disappointed Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu said: "I emphasize: the deal does not envisage the elimination of a single centrifuge.”

Many experts have already pointed out that such a large nuclear infrastructure as Iran’s, which consists of some 17,000 enrichment centrifuges, is needed if a country has 12-15 operating nuclear plants that have to be supplied with fuel rods. However, so far Iran has only one nuclear power plant, in Bushehr, which receives its fuel from Russia.

The Iranians have a hard time trying to explain why they need so many centrifuges, but they are ready for any form of control, including video cameras, meters and snap inspections.

The willingness of the United States to agree to the deal also requires some explanation. Why has the country’s attitude to the Iranian nuclear program undergone such a sudden change?

Why were American diplomats engaged in secret talks with Iran for nearly a year? After more than 30 years of hostility, why has Washington has decided to relent on some of its demands?

Granted, Mahmoud Ahmadinejad has been replaced by Hassan Rouhani, but the president of Iran is in effect no more than the head of government. All matters of principle are decided by Ayatollah Khamenei, Iran's spiritual and supreme leader – and there, nothing has changed.

The answer may have more to do with American domestic politics than Iran itself.

In the early 1970s, the United States suffered a devastating defeat in Vietnam. Then the Watergate scandal forced President Richard Nixon to resign under threat of impeachment.

It was at that moment, putting all sentiments aside, that the United States resorted to an unprecedented rapprochement in relations with the Communist China.

Today, the U.S. is coping with failures in Iraq and Afghanistan, the challenges of the Arab Spring, and allies that would like to drag the United States into military operations in Libya and Syria – the goals of which would be difficult to communicate to ordinary Americans.

The time may be right for the U.S. to engage with Iran, which is ready to fight for leadership in the Middle East with the oil monarchies of the Gulf.

Such a move could restore the balance of power in the Middle East to the situation that existed prior to the 1979 revolution when Iran served as a counterbalance to Saudi Arabia.